Quegli esseri speciali che fanno le regole prima che quelli che studiano, ci arrivino

Vi racconto di cimiteri illustri e di grandi persone che fecero, per primi e da soli, strade diverse da tutti gli altri


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Un sacco di anni fa quel genio assoluto della seconda metà del Novecento e di questi primi due decenni del nuovo millennio che risponde al nome di Douglas Coupland (torna presto a scrivere, ché abbiamo bisogno di te) ha dato alle stampe il romanzo Microservi. Essendo appunto un genio tratteggiava una società votata all’omologazione e in qualche modo alla digitalizzazione, raccontando la storia che in molti hanno ricondotto a quella allora iconica di Microsoft. Il titolo, in effetti, non stava mica lì a caso. Uno come Chuck Palahniuk, per fare un nome, senza alcune sue intuizioni geniali non avrebbe mai tirato fuori il suo Fight Club, che a sua volta, mi permetto di dire, è un vero capolavoro di fine secolo.

Tornando però a Microservi, c’è una scena che vorrei usare come incipit di questo articolo. Di quel libro, ho pochi kappa di memoria a disposizione per ricordare dettagli troppo accurati di cosa leggo, in genere, non ricordo esattamente la trama. Ma ricordo che a un certo punto c’è un tizio che attraversa lo spazio aperto che si trova tra i building dell’azienda, e nel farlo non segue, come tutti, ordinatamente, il percorso preposto, il sentiero tra i prati. No, lui taglia gli angoli, prende una scorciatoia, apre una strada che però una strada non è. Questo fatto, il tagliare gli angoli, ma più in generale l’aver fatto un percorso diverso da tutti gli altri gli varrà ovviamente uno scatto in carriera, o l’assunzione, non ricordo bene. Perché in un’epoca di omologazione essere diversi diventa un valore aggiunto, se non addirittura il valore aggiunto.

Andare contro corrente, se così vogliamo provare a cristallizzare questa situazione, per altro usando un modo di dire, quindi ricorrendo a qualcosa di omologato per descrivere il provare a abbattere l’omologazione, una sorta di cortocircuito, non è mai semplice. Perché significa lasciare un terreno conosciuto, senza avere certezza di quel che si andrà a trovare sotto i piedi. Certo, esiste un segmento del sistema che è a appannaggio di chi è in apparenza contro il sistema, che è un po’ il modo del sistema medesimo per generare economie anche da chi vorrebbe provare a generarle altrove, ma difficilmente questo genere di situazioni è programmabile. Anche perché se no avremmo uno stuolo di artisti, ma non solo di artisti, che provano a andare controcorrente, andando così a formare una sorta di sottogruppo di controcorrentisti.

Ora mi fermo.

Ma voi avete in mente l’idea di questo tizio che attraversa in diagonale il prato di un piazzale tra i building di un’azienda digitale, fuori dai sentieri, e fa carriera.

E avete anche in mente questa faccenda del diventare omologati in quanto si è parte di quanti non vogliono essere omologati.

C’è un cimitero a Londra che merita di essere visitato. Tutti i cimiteri di Londra, e più in generale i cimiteri inglesi meritano di essere visitati, non tanto perché sono luoghi in cui si coltiva il ricordo di chi non c’è più, non è detto che chi non c’è più rientri tra quanti conoscevamo o ammiravamo, e piangere tutti i morti del mondo ci porterebbe a morire d’empatia, ma perché nella stragrande maggioranza dei casi sono luoghi molto belli, con quel fascino cupo a metà strada tra Dylan Dog e Il Corvo, bei posti dove andare a fare una passeggiata. Ma il cimitero di cui vi sto parlando merita di essere visitato non solo e non tanto perché sia un bel cimitero, e lo è, ma perché ci sono le tombe di tre personaggi che, a meno che non siate dei gretti ignoranti, non possono che starvi nel cuore.

Sono, in ordine di decesso, e quindi di arrivo nel suddetto cimitero, Elizabeth Siddal, detta Lizzie, Karl Marx e Malcolm McLaren. I primi due morti nella seconda metà dell’Ottocento, a distanza di una ventina d’anni l’una dall’altro, il secondo morto molto più recentemente, nel 2010.

Il cimitero che ospita i mortali resti di questi tre pilastri della cultura occidentale è l’Highgate Cemetary, per la cronaca.

Spiegare perché Marx sia Marx, beh, non credo sia necessario. A prescindere come si voglia guardare ai suoi scritti e alle sue teorie, direi che resta uno dei massimi pensatori dell’Ottocento. Essendo un teorico, un filosofo, non è neanche realmente additabile come il responsabile delle dittature che dai suoi scritti sono nati, presumibilmente per una distorsione, ma questo è un discorso troppo complesso da toccare a volo d’angelo.

Concentriamoci sugli altri due nomi, Lizzie Siddal e Malcolm McLaren. La prima è considerata, Dio abbia pietà di lei, la prima top model di tutti i tempi. Nei fatti è stata la musa dei PreRaffaelliti, da suo marito Gabriel Dante Rossetti in giù. Proprio in questi giorni una mostra che raccoglie buona parte delle opere di questa accolita di prodromi di rockstar che risponde al nome di PreRaffaelliti è di scena al Palazzo Reale di Milano, con quasi tutte le opere che solitamente sono esposte alla Tate Gallery di Londra. Lei, Lizzie, per intendersi colei che posa morta in un letto d’acqua acquitrinoso nell’Ophelia di Millais, è la bellissima donna dai capelli rossi e la pelle diafana che possiamo ammirare in tutte quelle opere, non solo modella ma vera e propria musa di Rossetti e dei suoi compari. A sua volta artista, poetessa, Lizzie ha una storia che da sola meriterebbe un romanzo, e in effetti ci sono bei libri che ne raccontano la vita. Follemente innamorata di questo artista di origini italiane, vastesi per la precisione, entrata in casa come cameriera ne è presto diventata amante e poi moglie. Non certo senza essere costantemente tradita, spesso con donne con le sue stesse sembianze. L’essere tradita, maltrattata da Rossetti l’ha indotta all’uso massiccio di laudano, una droga molto in voga in quei tempi, e la spinse, soprattutto, a posare in condizioni impossibili per quello che poi diventerà la vera icona del preraffaelitismo, l’Ophelia. Lì, con quel vestito di broccato verde, in una vasca dapprima scaldata da candele, poi con l’acqua che si è fatta via via più gelida, fatto che ne ha minato la salute, i polmoni. Una sorta di tradimento intellettuale, il suo, compiuto con Millais, destinato a dipingere grazie a lei il quadro più famoso di tutto quel gruppo di artisti. La morte la coglierà giovanissima, e questo minerà non poco la mente già offuscata dal laudano di Rossetti, che prima deciderà di seppellirla con tutte le sue poesie, e poi chiederà la riesumazione della bara, per poter riprendersi i suoi scritti e pubblicarli, non prima di aver scoperto la bara completamente invasa dai capelli rossi di Lizzie, che anche da morta avevano continuato a crescere. Insomma, definirla la prima top model al mondo non rende giustizia a questa icona di protofemminismo, donna forte che, nonostante l’amore, ha deciso di entrare nella storia e di entrarci da protagonista.

Malcolm McLaren, invece, è la dimostrazione fatta carne di come sia possibile diventare l’icona dell’iconoclastia, cioè diventare simbolo di una modalità di comportamento e pensiero che prende spunto da uno scisma religioso i cui protagonisti ambivano a distruggere tutte le immagini sacre. Davvero un bel cortocircuito.

La storia di McLaren è di quelle che andrebbero studiate nei corsi di marketing delle più importanti università di Economia al mondo, e probabilmente questo già succede.

Titolare di un negozio di t-shirt, cianfrusaglie sadomaso e oggetti di varia natura a King’s Road, negli anni Settanta, in compagnia della sua compagna Vivienne Westwood, Malcolm decide, dopo aver lavorato per un po’ a New York con alcuni artisti come le New York Dolls di importare in Gran Bretagna il punk.

La storia la conoscete tutti, con l’idea di piazzare sul mercato i prodotti che erano in vendita in Sex, questo il nome del negozietto di King’s Road, Malcolm crea a tavolino i Sex Pistols, andando a dar vita a quella che lui stesso chiamerà La Grande Truffa del Rock’n’Roll, come da omonimo film su Johnny Rotten e soci diretto da Julian Temple. Sul fatto che il punk, una delle ultime rivoluzioni musicali di quando ancora la musica era capace di evolversi e di pensare a un’idea di futuro, per dirla con Mark Fisher, sia nato così, per vendere magliette e oggetti bondage, e sul fatto che anche tutto il resto, in qualche modo, sia finito per essere figlio di un progetto discografico ci sono diverse scuole di pensiero. Non è un caso che in molti tendono a un classico dualismo, classico nella storia del rock, da sempre, tra Sex Pistols e The Clash, gli uni considerati vagamente preconfezionati, gli altri più veri e politicizzati, ma si tratta di quelle zone d’ombra dove è difficile fare chiarezza, nonostante in molti ci abbiano provato, da Jon Savage in giù.

Sia come sia Malcolm McLaren è entrato a sua volta nella storia del rock, come colui che ha ordito la più grande truffa ai suoi danni, certo, ma più che altro come l’icona dell’iconoclasta, quello che prende le regole, le deforma a proprio piacimento e necessità, che trova strade lì dove gli altri vedono un prato da non attraversare.

Tempo fa parlavo di musica, e di che altro se no?, con Andrea Mirò, che è una grandissima cantautrice, una delle migliori penne che abbiamo tout court in Italia, e ha anche una enorme cultura musicale, violinista, pianista, chitarrista e direttrice d’orchestra. Mentre si parla a un certo punto mi ha raccontato un aneddoto che ci dice come, a voler non sempre tenere conto delle regole, magari per volontà o magari per necessità, si finisca per tirare fuori cose che altrimenti non avrebbero visto la luce, nello specifico un capolavoro, perché mentre si parlava a un certo punto Andrea mi ha parlato di Mare D’Inverno, probabilmente una delle più importanti canzoni italiane dell’ultimo quarto del secolo scorso, sicuramente una delle più belle scritte da Enrico Ruggeri, che di Andrea è compagno di vita da una vita. “Vedi, mi ha detto, io ho questa mia idea di composizione che è figlia dell’aver studiato al Conservatorio. Conosco la musica, l’ho studiata. Ma ascoltando le note che introducono al piano Il mare D’Inverno mi sono sempre chiesta come avesse fatto Enrico a tirarle fuori, perché vanno contro qualsiasi principio armonico”. L’armonia for dummies mi spinge a dire che usando determinati accordi si possono tirare fuori solo determinate note, certe melodie, motivo, per intenderci, che spesso ci fanno canticchiare un sacco di canzoni che sembrano tutte uguali, canzoni che in effetti sono tutte uguali, perché scritte da gente che di accordi ne conosce al massimo tre e che quindi non può che ripetersi all’infinito.

Alla fine gliel’ho chiesto, e lui mi ha detto che le ha scritte così perché gli sembravano che stessero bene insieme. Lui mica ha studiato al Conservatorio.

Ecco, questa è iconoclastia. Guardare a un piazzale attraversato da sentieri prestabiliti, battuti da tutti quelli che si trovano lì, e decidere, per volontà o anche per necessità, di passare da un’altra parte. Fare le regole prima che gli altri ci dicano che regole seguire. Se vi sembra poco.