Per il venticinquennale della mia ultima esibizione da musicista, non guasterebbe un reunion con la mia vecchia band

L'evento permetterebbe di vedere in azione su un palco il sosia di Jerry Garcia, del quale non posso più nascondere di essere il gemello segreto


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Io non ho memoria. Non ne ho affatto. O ne ho di quelle selettive, e vai poi a capire se quel che ricordo è tutto vero o è filtrato da un subconscio amorevole, che permea tutto di un’aura interessante, affascinante. Di mio, però, non ricordo quasi nulla. Ho pochissimi ricordi di infanzia, fatico a ricordare le date, non ricordo come ero vestito ieri, nonostante io vesta quasi sempre alla stessa maniera, un paio di jeans e una t-shirt, d’estate, con in più una felpa, d’inverno, e, cosa ancora più grave, per me, non ricordo come era vestita mia moglie stamattina quando è uscita per andare al lavoro. Questa cosa del non ricordare le cose, per altro, all’inizio della mia relazione con Marina, colei che oggi è mia moglie, circa trentadue anni fa, è stata un problema. Perché lei, Marina, invece, ricorda tutto. Ma proprio tutto tutto. Per dire, è capace di ricordarsi di aver incontrato una persona anche venti anni prima, come era vestita, cosa si sono dette. Io non ricordo, appunto, come era vestita stamattina. Il che, all’inizio della nostra relazione, si traduceva in musi lunghissimi, perché lei interpretava questo mio non ricordarmi nulla come disinteresse. Poi ha capito che non ho proprio memoria, ma ci è voluto del tempo, molto tempo. Anche perché, invece, per altre cose ricordo tutto. Nel lavoro, soprattutto, ho una memoria formidabile, googolesca. E essendo persona estremamente vendicativa, qualcuno se ne sarà accorto, magari anche sulla propria pelle, anche sul fronte degli sgarri personali ricordo tutto, anche a distanza di tanti anni, ricordo tutto e so aspettare il tempo necessario perché chi è oggetto dei miei ricordi non si aspetti nulla, perché la vendetta è un piatto che va consumato freddo, è noto.

Ma non è della vendetta che voglio parlare oggi, di quella ho parlato altre volte, e più che altro quella l’ho esternata altre volte.

Oggi voglio parlarvi del fatto che, nonostante io non abbia memoria, ricordo perfettamente il giorno in cui ho deciso che nella vita avrei fatto quello che poi, in effetti, ho fatto. Scrivere, cioè. E lo ricordo perché da una parte è successo relativamente tardi, quando cioè ero già un adulto, e dall’altra perché quando ho deciso che nella vita avrei fatto quello che poi, in effetti, ho fatto l’ho fatto anche per sopperire a questa faccenda della scarsa memoria. Non che ritenessi di aver vissuto una vita talmente interessante da meritare che venisse fermata su carta, anche se a dirla tutta sono esattamente venticinque anni che sto continuando a scrivere una sorta di lunghissimo memoir, sia coi miei libri sia con i miei articoli, tipo questo, ma più che altro perché avevo capito che, sprovvisto di memoria quale ero, avevo affinato un certo talento nel raccontare storie, spesso provando a mettere pezze a quello che la mia mancanza di memoria a volte provocava, altre volte, più semplicemente, per cercare di ricostruire quello che la mia mancanza di memoria provocava, andando quindi a ricostruire possibili traiettorie, se non addirittura implausibili bugie.

Così nel 1994 è successo che, verso la fine dell’estate, ho deciso che nella vita avrei fatto lo scrittore. E l’ho deciso perché nel 1994 è successo che, verso la fine dell’estate, ho capito che ero uno scrittore. Uno scrittore che, fino a quel momento, più o meno coscientemente, era convinto di essere un musicista, anzi, uno scrittore che fino a quel momento, anche musicista, era convinto che avrebbe fatto il musicista. Ecco, esattamente nell’estate del 1994, in luglio, ho preso questa decisione, e ci sono stato più o meno fedele per questi venticinque anni.

Saprei dirvi anche esattamente dove ho preso questa decisione, sul palco di una piazza di Martinsicuro, in Abruzzo, al confine con la regione nella quale ho vissuto i primi ventotto anni della mia vita e in cui sono nato, le Marche. Ero lì, sul quel palco, la mia chitarra elettrica tra le mani, anzi, la chitarra elettrica di non ricordo chi, perché era bianca, mentre io ho sempre avuto una imitazione della Fender Stratocaster, color legno. Anche quella era una imitazione della Fender, solo che era bianca. Entrambe erano delle Melody Vintage, della Eko, perché da poco la ditta recanatese era fallita, capitava spesso all’epoca, e come dopo ogni fallimento c’era stata una grande svendita, e io avevo comprato la mia Melody Vintage, Emanuele o Roberto, rispettivamente cantante e bassista della band con cui ero su quel palco di Martinsicuro, non ricordo chi dei due, aveva comprato la chitarra bianca. Con noi c’era anche Michele, il batterista. Eravamo quattro, e eravamo gli Epicentro. Ne ho già parlato da queste parti, come ho già parlato di questa nostra ultima esibizione, caratterizzata dall’essere avvenuta in maniera rocambolesca, davanti a una platea anche importante, almeno in parte. Eravamo alle semifinali nazionali di un concorso indetto dall’Arci che si chiamava Anagrumba, concorso che l’anno precedente era stato vinto dagli Almamegretta, che grazie a quella vittoria avevano potuto incidere il loro primo album. A quei tempi i dischi si facevano in studio di registrazione, non esisteva, come oggi, la possibilità di farseli in casa. E se, come noi, abitavi in Inculandia, la periferia della periferia dell’Impero, di studi ce n’erano pure pochi, e quindi con prezzi proibitivi. Andare lì per noi sarebbe potuto significare incidere le nostre canzoni. Ci contavamo, in qualche modo, perché all’epoca avevamo suonato parecchio nella nostra regione e nei dintorni, e avevamo anche un buon seguito. Funzionava così, nel 1994. Suonavi, ti facevi la gavetta, ti costruivi un seguito, se ti andava bene incidevi e diventavi qualcuno. O andavi a fare altro. Noi avevamo suonato molto, ma molto davvero, anche in situazioni improbabili, come a certe Sagre o a una festa per l’Unione Italiana Ciechi di Ancona. Avevamo anche suonato in un locale della nostra città, sempre Ancona, che era un ex night famoso per essere andato a fuoco una notte, mentre dentro la gente faceva quello che in genere si fa nei night, si tromba, col risultato che tutti erano scappati nudi all’aperto, per fuggire alle fiamme. Non sapevamo se fosse vero, ma a tutti piaceva pensare di sì. Il locale si trovava alla base dell’ascensore che portava nella sola spiaggia cittadina, Il Passetto, proprio in fondo al Viale della Vittoria immortalato da Nanni Moretti nel film La Stanza Del Figlio, quello lungo il quale lui va a fare footing. E il Passetto è il luogo al largo del quale il figlio di Nanni Moretti, del personaggio interpretato da Nanni Moretti, quello la cui stanza dava il titolo al film, muore. Il locale, ai tempi dell’incendio, si chiamava Ciro’s, mentre quando ci abbiamo suonato noi si chiamava La Voce Della Luna, dal film di Fellini. Il padrone, quando ci abbiamo suonato noi, era Dirceu, giocatore brasiliano che aveva anche giocato in nazionale e ai mondiali, e che aveva chiuso la sua carriera da calciatore all’Ascoli, per poi venire a giocare a calcetto nella squadra di Ancona. Dirceu che di lì a poco morirà in un brutto incidente stradale. A vederlo lì, dietro il bancone, coi capelli riccioli e lunghetti, nulla a che vedere coi miei capelli ricci e lunghi fin quasi al sedere, faceva una certa impressione. Ma mai quanto dobbiamo aver fatto impressione noi a lui, lì a suonare le nostre canzoni punk e irriverenti di fronte a un pubblico di fighetti accorsi lì per passare una serata in relax. Quando abbiamo fatto la nostra hit, perché all’epoca avevamo una canzone che era un vero e proprio tormentone, nella nostra terra, Pentiganò, questo il titolo, una roba un po’ alla Skiantos con un giro di basso scritto dal mio amico fraterno Giacomo Curzi e con il testo e la linea melodica mia, introdotto da un mio assolo di chitarra in cui mashuppavo l’inno di Forza Italia, da poco salita al governo con Berlusconi, era aprile del 1994, con Faccetta Nera, perché in quel governo c’era anche Alleanza Nazionale, neonato partito di destra figlio di quello che era l’MSI di Almirante, con Fini alla guida, abbiamo creato un gelo che neanche Elsa nelle scene clou di Frozen. Non a caso in quel posto ci abbiamo suonato solo una volta, e poi mai più. Come anche a Martinsicuro, ovviamente. Perché su quel palco, lì, con la locale scuola elementare alle nostre spalle, a fare da camerini, abbiamo avuto la brillante idea di prendere per il culo quello che era il presidente della giuria, Mimmo Locasciulli, cantautore che io in realtà ammiravo realmente e che era di quelle parti. A farlo, a prenderlo per il culo, era stato Emanuele, il nostro cantante, che a precisa domanda della presentatrice, una ragazza con cartelletta e grandi tette che non palesava una intelligenza altrettanto grande, “A chi vi ispirate?“, lui, Emanuele, il nostro cantante, aveva detto, senza esitare un secondo, “Mimmo Locasciulli”, il tempo di incassare un applauso, anche da parte sua e via a cantare “Sei un pentiganò”, con Goran Kuzminac a fare da fonico. Quando recentemente mi è capitato di intervistarlo, Locasciulli, per l’uscita del suo nuovo lavoro, il bell’album Cenere, gli ho raccontato questo episodio, che per la cronaca si chiuse con la nostra indegna eliminazione e la conseguente fine della nostra avventura e anche della nostra amicizia, perché quando le band si sciolgono in genere finisce sempre tutto a puttane, lui, Mimmo Locasciulli mi ha detto di ricordarsi perfettamente di quella serata, successa venticinque anni fa. Sul momento ho pensato che stavolta fosse lui a prendere per il culo me, invece mi ha poi detto che proprio in quell’occasione aveva incontrato dopo anni Kuzminac, appunto lì a fare il fonico, da poco trasferitori in Abruzzo, e da lì era nata poi l’idea di collaborare insieme, con Locasciulli che produsse l’album Fragole & Pugnali. Per la cronaca io Locasciulli l’ho incontrato verso fine 2018, e Kuzminac è morto a settembre dello stesso anno, quindi quello che poteva essere un ricordo anche divertente, con me a fare il cazzone con uno dei miei miti di infanzia, perché io sono cresciuto con i Q Disc dei cantautori come Kuzminac o Ferradini, per intenderci, è stato in realtà un momento molto malinconico, di chi, per rimanere nel mimmolocasciullismo, non ha più trent’anni.

Ecco, tornando a quella sera, mentre ci mandavamo a cagare scendendo dal palco, e mentre ci continuavamo a mandare a cagare, io, Roberto, Emanuele e Michele, anche se con Roberto poi per un po’ ho cullato l’idea di mettere su un’altra band, ho deciso che nella vita non avrei mai fatto il musicista, ma sarei stato uno scrittore. E da quel momento è alla scrittura che ho guardato come si guarda al proprio mestiere, conscio che fosse anche quello, più che quello musicale, il mio vero talento.

Io non ricordo esattamente in che giorno del luglio 1994 è successo tutto questo, non ho memoria, ve l’ho detto in maniera piuttosto chiara. Ma diamo per assodato che il giorno giusto sia oggi, e che quindi siano esattamente venticinque anni che passo il mio tempo a scrivere parole. Parole quasi sempre dedicate alla musica, è ovvio, perché è da lì che arrivo. Ma parole scritte per essere scritte, non certo per essere suonate.

Chiaro, essendo passati venticinque anni anche da quando ho smesso di fare il musicista, la tentazione di rimettere mano a quelle vecchie canzoni mi viene spesso. Sarà che nel mentre lavoro a stretto contatto con musicisti veri, e cantanti veri, e quindi magari l’idea di fare un disco in cui siano loro a cantare quelle nostre vecchie canzoni mi alletta, come mi alletterebbe non poco risalire un’ultima volta sul palco, in un tour di reunion, o in uno show di quelli autocelebrativi, da tenersi ovviamente nelle Marche. Ci sono ancora cinque mesi prima che questo venticinquennale finisca e tocchi poi aspettare almeno il 2044 prima di poterci ripensare. In questi giorni, come tutti, ho visto che faccia potrei avere in quella occasione, e confesso che vedere il sosia di Jerry Garcia che sale sul palco per suonare Pentiganò sarebbe ancora più irriverente che averla suonata davanti a un raffinato cantautore come Locasciulli ormai venticinque anni fa. Quindi prendere o lasciare, una reunion mi aspetta.