Soyuz 10 di Mario Venuti e la malinconia dei numeri primi

Mario ha la grazia di saper scrivere canzoni, magari fuori dalla contemporaneità, sia ringraziato Iddio, e per questo destinate a rimanere oggi come domani


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Degli artisti non ci si può fidare. Degli artisti non ci si deve fidare. Non perché non siano affidabili, anche se spesso, in effetti, non lo sono. Ma perché sono artisti, e non è la fiducia quella che bisogna riporre in loro. Semmai è fede. Perché l’arte prevede un salto nell’irrazionale, e la fiducia, non credo sia necessario spiegarvelo, col razionale fa costantemente i conti, spesso senza venirne a capo.

Io credo in Mario Venuti. Credo nelle sue canzoni. E ci credo da quando neanche sapevo si chiamasse Mario Venuti, ma era semplicemente, semplicemente si fa per dire, uno dei due cantanti dei Denovo, band catanese che ci ha regalato una manciata di album, avremmo detto all’epoca, elegantemente seminali. Qualcosa che aveva a che fare coi Beatles, la loro musica, dichiaratamente, ma anche con gli Smiths, forse ancor più con gli XTC, con gli Smiths in maniera forse più subliminale, anche e soprattutto grazie proprio a Mario Venuti, per certi versi il nostro Morrissey, qui lo dico e lo confermo senza ombra di smentita, stessa grazia nell’affrontare quello spleen, quella malinconia adolescenziale, si parla di adolescenza dell’anima, capiamoci, lì.

Ma anche altro, va detto, perché a differenza del Morrissey medesimo, Mario Venuti è divenuto Mario Venuti, cioè un artista riconoscibile in proprio, non più come parte di una band elegantemente seminale come i Denovo, solo dopo lo scioglimento, per me che li seguivo dolorosa e inspiegabile, dei medesimi Denovo. Denovo nei quali, a dirla tutta, Mario era il polistrumentista, quello che passava serenamente dal sax, il suo strumento, alla chitarra, volendo anche al piano, oltre che il cantante, uno dei due cantanti, insieme all’amico Luca Madonia. Caratteristica, questa, che gli è poi rimasta cucita legittimamente addosso, l’essere un polistrumentista, sia praticamente, chi lo ha visto dal vivo ben lo sa, sia compositivamente, e anche qui, a sentire la varietà delle sue canzoni è evidente come il nostro componga giocando con un po’ tutti gli strumenti, sfruttando le caratteristiche che quegli strumenti forniscono. Anche per questo, lo confesso qui, nel posto evidentemente sbagliato, io ero strenuamente un lucamodiniano, essendo Luca Madonia il lead vocal di quei brani che maggiormente mi hanno folgorato nella parabola denoviana, sua la voce in brani che hanno letteralmente accompagnato ogni singolo giorno della mia giovinezza, su tutti Buonumore e Il Nuovo Re, pur riconoscendo al resto della band quei gradi che solo i grandi hanno. Gradi che poi Mario Venuti si è andato a prendersi sul campo, mettendoci ulteriormente la faccia, il nome, la voce, la chitarra e tutto l’armamentario.

Come?

Mettendo sul tavolo da gioco una capacità di giocare con la forma canzone davvero sorprendente, dimostrando, ce ne fosse bisogno, di non essere solo un Morrissey, ma anche un Johnny Marr, ma anche un Caetano Veloso, all’occorrenza, un Gilberto Gil, una voce incredibile, capace di prendere le pareti della nostra anima e addobbarla come un albero di Natale, e lo dico oggi che fuori ci sono quaranta gradi all’ombra e il mare è laggiù, lontano, lontanissimo. Inutile soffermarmi in dettagli, già sapete, e se non sapete, e che cazzo, fermatevi, andate a studiare, non senza un certo senso di vergogna, andate a incontrare la forma canzone di questo nostro talento unico, un Elvis Costello in salsa tropicalista. Ma uno che in vita sua ha scritto e cantato canzoni come Fortuna, Crudele, Veramente, Mai Come Ieri, solo per rimanere all’inizio della sua carriera, non è che debba star qui a spiegare troppe cose. Mario Venuti è tutto questo, ma anche molto altro, e prova ne è il suo nuovo lavoro. Un lavoro dal titolo bizzarro, Soyuz 10, dal nome di un microfono che è in realtà il nome di una navicella spaziale russa, pensa te, e dal numero dieci, cioè quello dei suoi album solisti. Un lavoro che è la terza parte non dichiarata di una trilogia esistenziale e antropologica, scritta in compagnia del solito Pippo Kaballà, ma in precedenza anche di Francesco Bianconi.

Se, infatti, l’album Il Tramonto Dell’Occidente, già nel titolo, dichiaratamente battiatiano, voleva celebrare la mente, giocando sul paradosso e su un certo nonsense, se nel successivo Motore Di Vita, il corpo nudo semiesposto in copertina, voleva celebrare il corpo, la danza, il movimento, in quest’ultimo, dal titolo apparentemente meno coerente, è il cuore, il sentimento, l’anima che finisce al centro dell’osservazione speciale del cantautore siciliano e del suo paroliere. In realtà, infatti, il lavoro si sarebbe dovuto intitolare Ciao Cuore, come la canzone forse più potente tra quelle contenute in tracklist, ma l’uscita precedente dell’omonimo lavoro di Riccardo Sinigallia ha in qualche modo bruciato questa possibilità, costringendo il nostro a ricorrere a un titolo più misterioso. L’album è invece molto cristallino, una serie di fotografie sentimentali, e si legga questo aggettivo con tutta la benevolenza possibile, come a chi guarda all’amore non con la stizza del non innamorato, ma magari con la malinconia di chi ancora ricorda, ma al momento non vive. Perché, e su questo forse lo studio dei tropicalisti e dei cantautori di bossa nova potrebbero aver lasciato tracce indelebili e a volte involontarie, Mario Venuti è sempre un po’ malinconico. La saudade, chiamiamola col nome giusto, è presente anche quando si confronta con altri cliché sonori, si tratti di guardare a certo pop jazzato o a canzoni che si rifanno ai nostri anni sessanta. Soyuz 10 è un lavoro monolitico, in cui le canzoni sono ognuna diversa dall’altra ma, e qui sta il genio del talento, anche tutte molto mariovenutiane. A mio avviso il migliore delle tre parti della trilogia, ma stiamo parlando di cinquanta sfumature di oro zecchino.

Mario Venuti ha la grazia di saper scrivere canzoni, magari fuori dalla contemporaneità, sia ringraziato Iddio, e per questo destinate a rimanere oggi come domani. Ora ha anche trovato una serenità compiuta nel fare la musica che più gli piace senza le ansie di dover necessariamente finire in classifica, per il gusto di farla e con la capacità di farla sempre al massimo, suonando gli strumenti giusti, inseguendo le giuste melodie. Ascoltare Il Vaso Di Pandora, Particelle Di Energia, Nostalgia Del Futuro o la già citata Ciao Cuore, lo confesso, mi appare oggi, quaranta gradi fuori dalla finestra, una boccata d’aria che non so se meritarmi.

No, scherzo. Me la merito eccome, perché chiunque abbia a cuore la musica vera si merita la musica vera, e pazienza se toccherà poi vivere intensamente la vita per farci passare quel retrogusto malinconico.