Dopo Anima di Thom Yorke nessuno uscirà a riveder le stelle (recensione)

Ora sappiamo cosa succede nella testa del cantautore, oggi alla sua opera quarta


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Ascolti Anima di Thom Yorke e poi vivi. Te ne accorgi perché hai appena assistito a un processo di purificazione e non ti capaciti, al risveglio, che tutto ciò che ti ha penetrato orecchie e sinapsi esista realmente. Proprio nel sonno, infatti, si vivono le esperienze extrasensoriali che fanno rima con frustrazione, perché se da una parte si parla di 9 tracce che non ti fanno toccare alcuna materia – non in questo mondo, almeno – dall’altra ti domandi come si possa riprodurre una stimolazione elettrica naturale con il linguaggio dei suoni.

Visionario e astratto, Anima di Thom Yorke è l’opera quarta della carriera solista della voce dei Radiohead, “splittata” ancora di più dalle generalità della sua band per inseguire la voce da sirena di un’ispirazione che, in questo disco, è forte e soffocante. Per chi si affaccia per la prima volta alla musica del cantautore britannico è bene precisare che le chitarre distorte, il noise e le soluzioni sonore dei Radiohead non pervengono. Il disco è la risonanza magnetica, la radiografia, l’elettroencefalogramma di Thom Yorke al quale siamo tutti chiamati per formulare una diagnosi.

Qualcosa di strano e disturbante era già presente nella colonna sonora del film Suspiria di Luca Guadagnino, interamente curata da Thom Yorke che ci ha deliziati con la sua voce e le sue composizioni mentre seguivamo le sequenze deliranti della Compagnia di Ballo Markos Tanz. Oggi, Anima arriva e ritroviamo un riferimento al cinema: su Netflix, infatti, i 15 minuti del cortometraggio di Paul Thomas Anderson sono l’esperienza necessaria per trovare la giusta chiave di lettura del disco.

Thom Yorke compare tra i passeggeri assonnati di una metropolitana, e gli spasmi del sonno diventano la ragione del ballo – un’ossessione che è opera di Damien Jalet, lo stesso nome della coreografia di Suspiria – che diverrà la barriera tra il cantautore e l’attrice Dajana Roncione, che dalle prime sequenze perde la sua borsa. Yorke è il buon samaritano che vuole restituire al proprietario l’oggetto smarrito, ma si ritroverà prigioniero del suo stesso delirio onirico tra le strade di Praga, la stessa che Angelo Maria Ripellino, con ragione, definiva “magica” nel suo romanzo.

Non è un caso se nel cortometraggio di Anderson troviamo le tre canzoni più elevate del disco: Not The News, Traffic e Dawn Chorus, che ci insegnano che ogni brano si affila da sé, seppur perfettamente contestuale all'”anima” – appunto – di questo disco. Il labirinto “yorkeiano” è quanto di magico e viscerale sia rimasto dopo quella strana e inquieta Idioteque che i Radiohead inserirono nell’album Kid A (2000), ma soprattutto dalla sue precedenti prove in studio, un percorso ordinato e intimo di evoluzione e trasformazione.

Traffic è quella marcia di connessione tra gli impulsi cerebrali che scatenano il corto circuito quando, nei sogni, non raggiungiamo il nostro obiettivo: qualcosa ci impedisce di abbracciare quella persona, di difenderci da chi si accanisce contro di noi o di fuggire dal pericolo imminente. Il beat avanza e incalza come una cavalcata impazzita, il passo disturbante di una danza nella quale Thom Yorke fraseggia tra synth e pad, ma soprattutto tra riverberi acidi che in Last I Heard (… He Was Circling The Drain) diventano ronzii e delay perpetui e concentrici.

Ciò che vediamo già dalle prime due tracce è una proiezione di immagini animate, una soluzione che ci fa comprendere che non stiamo, semplicemente, ascoltando le “nuove canzoni di quello dei Radiohead”. Anima di Thom Yorke si muove come un letto di serpenti o un risucchio che avevamo conosciuto solamente nel video claustrofobico di Lullaby dei Cure – anch’essi oltremodo innamorati del sogno come ispirazione – e Twist è l’ambiente familiare nel quale ritroviamo il falsetto che il cantautore britannico ha sdoganato negli anni ’90, quando erano tempi migliori per il rock alternativo.

In Twist, Yorke descrive automobili senza conducente che sfrecciano tra gli alberi, rende “grazie” a colei che l’ha riportato in vita e parla di un amore che diventa una linfa per poter stare al mondo. Ciò che possiamo percepire dalle prime tre tracce è uno stato di ipnosi che, tuttavia, non è indotto dalla musica contenuta in Anima di Thom Yorke: l’ipnosi era già presente nei nostri tessuti, e il disco preme il pulsante per attivarla.

Dawn Chorus, che nel cortometraggio di Anderson arriva quando Yorke incontra la ragazza, è la ballata analogica dove la poesia del pianoforte è sostituita con colpi di sintetizzatore che creano una pioggia emozionale sulle nostre teste. C’è dolcezza e c’è sospensione, e lo dobbiamo al fatto che il “dawn chorus” è il canto degli uccelli che salutano l’alba: il crescendo corale che si libera dal minuto 4 è la luce che si dispiega per restituire colore alle montagne, ai fiori, ma anche al cemento delle città.

I’m A Very Rude Person è il coltello sull’arte – lo dice Yorke in un gioco di parole: “Ti pianto un coltello sull’arte“, visto che l’anglosassone ci insegna la somiglianza tra “heart” e “art” – ma anche l’autoritratto “vangoghiano” di un artista che trova insignificante il suo interlocutore, talmente privo di contenuti da non riuscire nemmeno ad annoiare perché l’artista, qui, è troppo impegnato a cercare il suo posto nell’oscurità. Rilassante e leggermente ritmata, ma sempre sotto la soglia del groove per rimanere sull’altare dell’altrove, il brano ci prepara all’esperienza mistica di Not The News: suoni di cose che si trascinano, pitchate di suoni e un canto spazializzato dal delay che qui si fa prepotente. No, non è tutto: Yorke è imprigionato in un vestito rosso e viene tormentato da un’orchestra di violini, gli stessi che ci invia alla metà del brano per condividere insieme a lui la sua paura.

The Axe è il disturbo distopico, la rabbia feroce contro una tecnologia che non trasuda emozioni. Per questo Thom Yorke, perso in questa sinusoide che può diventare un valzer o un ragionamento in 6/8, minaccia di fare tutto a pezzi con un’ascia. Tutto si muove tra note alterate, disturbanti e disfunzioni sonore, in un clima che può accompagnare il nostro episodio preferito di Black Mirror. In Impossible Knots scopriamo l’arte della compressione, con il ride sintetico soffocato dalla cassa nelle prime battute. Thom Yorke, come accade in tanti suoi versi, è prigioniero di “nodi impossibili” che sono arrivati dal momento in cui ha preso una qualche direzione sbagliata. La cassa diventa il tuono, il battito cardiaco che insieme al ride ci ricorda la levitazione di Teardrop dei Massive Attack, anche nel crescendo dei pand che danno luce come accade in Dawn Chorus.

Runwayaway nasce per sorprenderci: l’intro è affidata alle chitarre, ma proprio quando ci sembra di partire verso un ultimo, travolgente, trip onirico arriva il beat disorientante che ci riporta dentro la testa di Thom Yorke. Tutto si fa claustrofobico. Ci muoviamo in reverse e gli archi disegnano un riff inquietante che si manifesta come l’ultima stanza dell’inferno paradisiaco di Yorke, l’ultima gittata di buio prima di uscire a riveder le stelle.

Ansia e distopia, come dice lo stesso cantautore britannico, sono centrali al disco e sono espresse nei suoni come nelle parole: con l’ausilio del cortometraggio di Paul Thomas Anderson Anima di Thom Yorke è l’opera completa, il testo in lingua originale con la traduzione a fronte. Musiche e testi sono stati scritti in collaborazione con Nigel Godrich, lo stesso produttore di Kid AHail To The Thief (2003) dei Radiohead, ma a questo giro dobbiamo parlare di una necessaria emancipazione dell’artista dalla sua band.

Oggi abbiamo imparato davvero qualcosa, e lo abbiamo fatto mettendo sotto analisi questo disco, dopo averne letto i referti e dopo aver indossato gli occhiali giusti per leggere tutto da vicino. Anima di Thom Yorke ci fa capire che siamo rimasti troppo a lungo in sala d’attesa, a guardare dalla nostra parte del vetro la trasformazione di un ragazzo prodigio in una mostra di introspezione alla quale lui, oggi, ci dà libero accesso.