Caro Enrico Ruggeri, amico mio, ma perché non ti presenti a Musicultura vestito da donna?

Musicultura sarà l'ennesimo contest musicale con una sola donna nel cast degli artisti in gara!

Enrico Ruggeri

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Io e Enrico Ruggeri siamo amici. Non è un segreto. Lo siamo diventati perché io ho sempre molto apprezzato la sua musica, sin da quando la musica non era neanche lontanamente il campo in cui pensavo avrei lavorato, nella prima metà degli anni Ottanta. Allora non pensavo proprio di lavorare, in realtà, come succede a tutti gli adolescenti. Poi ci siamo conosciuti, e io nel mentre avevo ricominciato a scrivere di musica dopo una lunga pausa durata circa un decennio. Ci siamo piaciuti e siamo diventati amici. Ciò non ha minimamente scalfito la mia onestà intellettuale, e se mai Enrico dovesse fare un lavoro che ritengo non all’altezza del suo nome non esiterei a scriverlo. Proprio perché il nostro è un rapporto basato sull’onestà intellettuale.

Lo so, tutto questo preambolo sembra lasciare presagire un qualche colpo di scena, in genere funziona così, nei miei scritti. Succede che io cominci con una frase, parta per la tangente, ritorni sulla frase da cui ho cominciato, mi perda apparentemente di nuovo, torni sulla frase iniziale e poi svolti a sinistra, dove nessuno, almeno nel boschetto della mia fantasia, si sarebbe aspettato io avrei girato. Spiazzare, questa la parola chiave.

Io e Enrico Ruggeri siamo amici, dicevo. Lo siamo perché abbiamo un’attitudine simile, credo, anche se come ci ha tenuto a dirmi, o meglio, a dirci, è stato punk prima di me. L’anagrafe, va detto, gli ha giocato a favore, essendo nato in effetti prima di me. Ma ha più volte riconosciuto, anche pubblicamente che sebbene sia stato punk prima di me, io non sia poi stato da meno. È una questione di attitudine, ripeto, siamo simili, da questo punto di vista. Entrambi molto amiamo Lou Reed, per dire. Non so neanche se gli ho mai detto che sono uno dei due traduttori di Fuoco Cammina Con Me, il libro ufficiale dei suoi testi. Non gliel’ho detto, sono quasi sicuro, quindi non gli ho mai raccontato di quando Lou Reed, a distanza, mi ha scelto come suo traduttore, vagliando il curriculum, come si trattasse di un normalissimo colloquio di lavoro. Credo mi abbia scelto per quel mio aver sottolineato come avessi suonato in una band punk, negli anni Novanta, gli Epicentro, anche se ne curriculum li ho chiamati con lo stesso nome che in realtà avrebbero dovuto portare, se solo fossimo stati un po’ più svegli, i Dead Kossigas. Non gli ho detto neppure di come sia scappato dal concerto che, nei giorni della presentazione del libro a Milano, ha tenuto all’Alcatraz. Era il tour di Ecstasy e vederlo lì sul palco, palestrato, una magliettina aderente apposta indossata per mettere in risalto addominali e bicipiti, il bassista con quel basso a cinque corde, suonato quasi sotto il collo, manco facesse fusion. Uno spettacolo indecente, per uno che lo aveva amato alla follia nel periodo che va dai Velvet Underground a New York, uno spettacolo indecente che mi ha visto scappare prima di sentirlo rovinare i suoi classici.

Io e Enrico Ruggeri siamo amici, quindi. Non posso certo dire che abbia rimesso insieme i Decibel per me, che all’epoca ero troppo piccolo per averli potuto vedere dal vivo, non voglio dire questo, ma nei fatti ho avuto anche questo regalo da parte sua, involontario, certo, ma pur sempre un regalo. Perché vedere loro tre lì sul palco, lo confesso, è stata una gioia inaspettata, un po’ come se mi fosse capitato, ero troppo piccolo anche per quello, ovviamente, anche più piccolo, coi Clash, con i Ramones del primo periodo, coi New York Dolls, coi Sex Pistols. Ecco, almeno i Decibel, e i Decibel veri li ho potuti vedere. Li ho anche potuti incontrare in studio, ci sono stato a cena insieme. Ho anche conosciuto Midge Ure a Sanremo, figuriamoci. Grandi emozioni, come quando Enrico mi ha dedicato Sono stato punk prima di te a Marotta, durante il concerto che si è tenuto nella cittadina che gli aveva appena messo l’autografo nei cartelli stradali. La conoscete tutti la storia, no? È a Marotta che Enrico pensava quando ha scritto Il mare d’inverno e Marotta gli ha restituito la cortesia, mettendo quei versi e la sua firma nella cartellonistica. Ecco, durante il concerto in piazza, sul lungomare, per quell’evento lì, durante il concerto che gli avrebbe poi procurato i problemi alle corde vocali che lo hanno tenuto per un po’ fermo ai box, Enrico ha detto che mi dedicava quel brano, siamo punk tutti e due, del resto, lo ripeto.

Io e Enrico Ruggeri siamo amici, del resto.

Io e Lavinia Mancusi non siamo amici, invece. Non ancora, almeno. Non ci siamo proprio mai incontrati di persona, anche se non è certo questo il motivo che mi fa dire che non siamo ancora amici. È più una questione di pudore, immagino, di cautela. Perché da che esistono i social, credo, si può diventare amici anche di persone che non si sono mai incontrate, addirittura di persone che non si incontreranno mai. Figuriamoci, c’è gente che si innamora di gente che non ha mai incontrato di persona. C’è pure Mark Caltagirone, non è certo il virtuale a farmi dire questo. Il fatto è che io e Lavinia ci si conosce, virtualmente, da poco. Ci siamo conosciuti sempre per la musica, esattamente come è successo con Enrico. Lei è una bravissima cantautrice, e io sono uno che di cantautrici scrive spesso. Molto spesso. Sono anche uno che organizza eventi, virtuali, spesso, e fisici, altrettanto spesso, ormai, che riguardino cantautrici. Così ci siamo conosciuti. È successo che io abbia parlato di questa brutta faccenda del sessismo del cartellone del Primo Maggio di Roma. Lo abbia fatto con una certa passionalità, certo, e anche con dell’ironia. Da quella mia passionalità, anche, è partita una sorta di contro-movimento. O magari il contro-movimento era già lì, io l’ho semplicemente spinto. Ecco, credo sia andato così. Ho scritto, il mio scritto ha fatto un po’ da catalizzatore. E prima c’è stata questa cosa bellissima del May Così Tante all’Angelo Mai, un concerto del Primo Maggio tutto al femminile, cui hanno preso parte tante cantautrici che in qualche modo hanno in passato preso parte a alcune mie iniziative, quasi tutte targate Anatomia Femminile, si trattasse delle omonime antologie o del Festivalino di Anatomia Femminile. Poi Tosca mi ha buttato lì l’idea di mettere su un evento all’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, a Roma. Un evento sempre al femminile. Femminile plurale, così lo abbiamo chiamato. Andrà di scena il 27 giugno, a partire dalle 19, lì all’Officina Pasolini. Presenterò io, ma soprattutto Cinzia Fiorato, quella Cinzia Fiorato che ha fatto il bellissimo speciale TG1 intitolato Femminile Musicale, dedicato tutto al cantautorato femminile, appunto.

Io e Lavinia Mancusi non siamo amici, invece. Non ancora, almeno. Ci siamo conosciuti per questa faccenda di Femminile Plurale, ma ci eravamo già conosciuti prima, solo che lei non lo sapeva. Io l’avevo vista insieme a Mannarino, agli Arcimboldi, e avevo passato tutto il concerto concentrato su di lei, su quello che suonava, sui suoi cori, sulla sua presenza scenica. L’ho già scritto, questo, lei già lo sa. Poi lei ha partecipato a Musicultura, e io ho provato a lanciare all’interno del gruppo di cantautrici che ruotano intorno a Anatomia Femminile, e anche a Femminile Plurale, una sorta di solidale sostegno. Si trattava di votarla online, e io ho provato a spingerla. Non che ce ne fosse bisogno, lo avrebbe meritato già di suo, ma quando ci sono questi contest è sempre bene darsi da fare in tutti i modi. Infatti lei non ha vinto quel contest, e se è arrivata alla fase finale, come una delle otto vincitrici, è solo grazie a se stessa, non certo per il nostro solidale sostegno, evidentemente meno organizzato di quello che ha spinto i due vincitori del contesto online. Sia come sia ora lei è una delle otto vincitrici, dicevo, e in questi giorni si gioca la vittoria finale, quella assoluta.

Anche di questo ho scritto, recentemente, in un pezzo che ha avuto modo di far discutere, perché, come nel caso del Concertone del Primo Maggio, ma anche come nel caso degli ultimi due Festival di Sanremo, del resto, c’era un serio problema col femminile. Serissimo. Perché in finale a Musicultura, si da il caso, non ci sono in effetti otto vincitrici, come si sarebbe potuto supporre dal mio usare il femminile poco più su. Non di vincitrice donna ce n’è giusto una, su otto finalisti, Lavinia Mancusi, appunto, con la sua Nunù. Del resto, questo scrivevo, è quasi tutto maschile il Comitato di Garanzia che ha scelto i finalisti, è quasi tutto maschile l’albo d’oro dei vincitori, è quasi tutto maschile il cast degli ospiti previsti per queste serate di scena allo Sferisterio.

Una donna su otto finalisti, roba da alzare i forconi. Per fortuna che la donna in questione è Lavinia Mancusi, una così brava da poter puntare alla vittoria finale senza correre rischi dovuti al fatto che sia donna, forse.

Sia come sia io e Lavinia Mancusi non siamo amici, invece. Non ancora, almeno.

Io e Enrico Ruggeri sì, invece. Già adesso. O almeno fino a adesso.

Perché si da il caso che Enrico Ruggeri sia stato indicato come il presentatore di questa trentesima edizione di Musicultura. Una trentesima edizione strana, perché in realtà prima aveva un altro nome e si trovava in un altro posto, ma va bene anche così.

Ora, arriviamo al dunque. Enrico, parlo direttamente con te, per ora, poi dirò una cosetta anche a Lavinia.

Stai per presentare Musicultura, per altro il regista è a sua volta un mio caro amico, quello Stefano Mignucci che con me ha condiviso un’esperienza mirabolante come Stasera Niente MTV, dove a condurre era una donna, Ambra, e dove in due rappresentavamo una sorta di oasi di eterosessualità maschile in quella che il Rocco Papaleo di W l’Italia avrebbe definito una Lobby Gay. Stai quindi per presentare Musicultura. E stai quindi per introdurre al pubblico, quel pubblico che deciderà col proprio voto chi alla fine sarà il vincitore assoluto, la bellezza di sette artisti uomini e una sola artista donna. Ora, non posso certo chiederti di fare favoritismi, anche se sapendo dell’amore che hai per la musica, quell’amore che ci ha fatto diventare amici, non dubito che, potendo scegliere tu, è lei che sceglieresti, senza se e senza ma. Non posso chiederti favoritismi ma contare sul tuo essere un iconoclasta sì, invece, questo lo posso fare. Perché sei un iconoclasta. Perché sei un punk. E anche perché sei cresciuto a pane e New York Dolls, Stooges e Velvet Underground, esattamente come me. Bene, siccome ormai il dado è stato tratto, e ti troverai su un palco praticamente tutto attraversato e abitato da uomini quello che mi trovo qui a chiederti è un gesto definitivo, di quelli che, li facesse una come Marina Abramovich, finirebbe sui giornali di tutto il mondo. Nel tuo caso, ne sono certo, finiresti sicuramente in tutti quelli italiani, e probabilmente anche di parecchi altri paesi. Qualcosa di eclatante, di dadaista, di iconoclasta. Qualcosa che farebbe esultare Malcolm Mc Laren, fosse ancora vivo. Non ci giro più intorno, Enrico, ma perché non ti presenti sul palco vestito da donna? Niente di particolarmente vistoso, se non vuoi esagerare, anche se ti ho visto alla partita del cuore, hai un bel paio di gambe, volendo te la potresti giocare con la Stefanenko, con te a condurre. Ma un bel vestitino da donna, così, tanto per sottolineare un problema di fondo, ci starebbe proprio bene. Sei stato punk prima di me e di tutti quelli che saranno presenti lì allo Sferisterio, del resto, nessuno potrà avere troppo da eccepire. Io, da amico e da critico musicale, apprezzerei davvero tanto.

Lavinia, ora tocca a te. Non siamo amici, non ancora, almeno. O se lo siamo, perché stiamo portando avanti battaglie comuni, come quella di Femminile Plurale, lo siamo agli albori. Non siamo ancora amici, mettiamola così, non del tutto, ma credo ci sia stima reciproca. Ce la siamo detti, questa cosa della stima, si capisce. Bene, siccome credo tu abbia serie possibilità di vincere Musicultura, ma sono anche abbastanza sicuro che la vittoria vera tu la stia costruendo con la tua musica, prima Musicultura e dopo Musicultura, spero anche durante Musicultura, credo che un gesto altrettanto dadaista sarebbe un buon modo per bucare il passaggio tv, un ottimo modo per entrare a tuo modo nella leggenda. Perché i gesti dadaisti, come quelli che ho proposto a Enrico, qui sopra, valgono sempre, anche se a farli è una artista di grande talento non ancora conosciuta al grande pubblico, come nel caso di Enrico. Ecco, Lavinia, allora credo che se Enrico si presenterà sul palco vestito da donna, come auspico, tu dovresti fare qualcosa di altrettanto punk, presentandoti sul palco come se fossi il suo Ying, presupponendo lui sia lo Yang. No, non intendo che tu ti debba presentare vestita da uomo, non sarebbe niente di che. Lo ha già fatto Anna Oxa sul palco di Sanremo negli anni Settanta, e a meno che tu non opti per un colpo di scena come Jennifer Beals nella famosa scena della cena in Flashdance, via la giacca e sotto solo la pettorina dello smoking, direi che la cosa passerebbe inosservata. No, io ti suggerire un gesto un filo più iconoclasta, presentati sul palco con uno strap-on. Se pensi sia troppo violenta, come mossa, so che ne esistono anche di disarmati, concedimi un linguaggio da romanzo rosa. Un bello strap-on e via, tanto per dire a tutti che se è col cazzo che vi vogliono per potervi prendere in considerazione, a voi donne, il cazzo potete pure procurarvelo.

Ah, ovviamente che vinca la migliore, scegliete pure voi quale.