Black Mirror 5, Smithereens è la solita, banale critica al male dei social media che chiunque avrebbe potuto muovere (recensione)

Smithereens è forse l'episodio più ambizioso della quinta stagione di Black Mirror, ma la sua tesi di fondo non aggiunge nulla al dibattito attuale sui social media.

Andrew Scott in Smithereens

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Smithereens è il secondo e più lungo appuntamento con Black Mirror 5, in streaming su Netflix dal 5 giugno. Come la maggior parte degli episodi della serie, anche questo nasce da un tentativo di osservare la società contemporanea e porne sotto una luce impietosa la deriva valoriale e relazionale.

Parliamo di tentativo perché non sempre gli esiti garantiscono i risultati sperati. Smithereens punta in alto, infatto, ma il suo messaggio di fondo non è altro che una critica banale che chiunque avrebbe potuto porre, pur con parole e mezzi diversi.

La storia è quella di Chris (Andrew Scott), un autista solitario e instabile, profondamente ferito dai social media e disposto a tutto per ottenere vendetta. La sua è una battaglia consapevole. Sa che i media contemporanei sono concepiti per invadere la vita delle persone e scatenare dipendenza, e incanala rabbia e frustrazione verso il fondatore di Smithereens, una sorta di Twitter che lui ritiene responsabile di tutti i problemi della società in cui vive.

Il suo disagio emotivo non è però dovuto soltanto allo squilibrio che percepisce intorno a sé. C’è anche il dolore per la tragica morte della fidanzata, uccisa da un guidatore ubriaco in un incidente d’auto. In questo marasma di emozioni negative travolgenti l’unica soluzione sembra essere quella di trovare un capro espiatorio. Pensando di minare Smithereens nelle fondamenta decide di rapire uno dei suoi funzionari di alto rango, per poi scoprire di essere incappato invece in un semplice tirocinante, Jaden (Damson Idris).

Le cose sfuggono presto di mano. Jaden non è il vero obiettivo della missione e, nel tentativo di cavare qualcosa da una situazione ormai disperata, Chris si ritrova costretto ad affrontare la polizia perché consenta un’interazione diretta col CEO di Smithereens, Billy Bauer.

La telefonata tra i due è un chiaro esempio dell’inevitabile deragliamento di ogni tentativo di comunicazione, forse proprio a causa dei social media. Billy prova infatti ad articolare delle giustificazioni inconsistenti per la condotta della sua azienda, e la reazione scomposta di Chris dimostra come tutti preferiscano essere ascoltati piuttosto che ascoltare.

Smithereens è abbastanza efficace nel trasmettere questa idea, ma non aggiunge nulla di nuovo alla conversazione. Non c’è alcuna illuminazione divina nella constatazione degli eccessi delle grandi multinazionali. Né si offrono spunti innovativi in merito alla loro invasione della sfera privata individuale o all’ambiguità dei sistemi di gestione e uso dei dati.

Questa è forse la novità più spiacevole di Smithereens. Chiariamoci, per Black Mirror non è certo inusuale drammatizzare le derive più grottesche e inquietanti scatenate da un surplus di tecnologia. Ciò che stupisce è che non venga offerta alcuna prospettiva nuova, radicale o semplicemente diversa. La questione, in definitiva, sembra ridursi alla constatazione che i social media sono brutti e cattivi.

Ciò non toglie che in Smithereens rimanga perfettamente riconoscibile l’impronta-Black Mirror. Il ritmo è serrato anche quando la trama si fa scarna e Andrew Scott è come sempre un portento. Rimane inoltre ben visibile la componente satirica dell’episodio, soprattutto nella figura di Billy Bauer. Nel CEO di Smithereens si può infatti leggere la critica all’ipocrisia delle grandi corporation tecnologiche, la cui apparenza user friendly e progressista contrasta con le più elaborate tecniche di manipolazione delle informazioni e della mente umana in generale.

In conclusione, neppure questo episodio di Black Mirror 5 può dirsi pienamente promosso. Forse le aspettative sono ormai troppo alte, forse l’analisi sociale è troppo pigra. Qualsiasi sia la causa del parziale fallimento di Smithereens, ciò che resta sono 71 minuti di occasioni mancante, critiche banali e logori stereotipi sulle minacce della tecnologia e le paure che gli umani hanno della stessa.