Balìa di Delmoro è l’inquietudine del nostro divenire una società dei consunti, un indie pop colorato di esotico (recensione)

Il nuovo cantautorato è anche questo: un adagio crepuscolare che cerca rifugio nella musica e protezione nelle parole


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“Balìa” di Delmoro è il manifesto della complessità di un artista dalle larghe vedute, un ragazzo che non riesce a fossilizzarsi su una singola scelta e proprio per questo libera sul foglio ogni idea e ogni passione. Lo si evince dal sound, dai testi e dalla cura delle liriche, un intreccio di dettagli che ci presentano un album creato con metodo e ricerca, forte nel ritmo e intenso nella sostanza. Mattia Del Moro, questo il suo vero nome, ha un percorso costellato di esperienze e dedizione: nel 2009 ha pubblicato il suo primo disco in lingua inglese, “Landscapes”, sotto le mentite spoglie di Brown And The Slaves e nel frattempo si laurea in Architettura a Venezia.

Nei suoi progetti, però, non troviamo fabbricati e design: Mattia continua sulla strada della musica e con Delta Music si veste di elettronica e, parallelamente, suona dal vivo con Mind Enterprises. Londra, Lisbona e Copenaghen sono la sua casa, ma trova alloggio nella sua prima esperienza con la lingua italiana con la quale scrive “Il Primo Viaggio” (2018), il suo primo disco firmato “Delmoro” e forte di successi come Non Sento BeneFuji.

Mattia è il cantautorato elettronico che talvolta manca alla musica italiana, ma è anche quell’apporto di disco-music e balearic che diventa quel tocco personale e originale che è proprio di ogni artista ispirato. “Balìa” di Delmoro si sviluppa in 5 tracce nelle quali si respira tutta la musica italiana degli ultimi 40 anni e non mancano i momenti vintage che, in questo EP, convolano a nozze con le scelte più contemporanee. “Balìa” è co-prodotto da Matteo Cantaluppi (Thegiornalisti, Dimartino, Ex-Otago) e si colloca a metà strada tra l’it-pop moderno e il revival-synth contemporaneo.

Dove siamo finiti apre l’EP ed è oggi in rotazione radiofonica, e il beat elettronico guarnito con flauto di pan e congas ci schianta dentro il mondo di Delmoro. Un sound colorato e un groove ad alto rischio di contagio definiscono un’atmosfera in cui Mattia racconta il disincanto che cozza terribilmente con ciò che l’estate dovrebbe rappresentare: la spensieratezza. Dove siamo finiti, quindi? Il mondo è diventato impegnativo, e impegnativo è viverlo anche in estate, quando il sole non è più serotonina ma un tesoro da ritrovare di notte, mentre facciamo a pugni con le stelleTutto normale è una Delorean che ci riporta agli anni ’80 con lo stesso basso in slap di Acqua e Sapone degli Stadio. Un sax diventa il surf che ondeggia tra le influenze latino-americane, ma anche tra le parole che Delmoro canta per descrivere la nuova società piena di contraddizioni: «Passerà come un raffreddore», canta Mattia per dirci che questa è la normalità di oggi, ma allo stesso tempo si chiede: «Ma ti sembra poi così normale?».

Un synth che fa molto anni ’70 apre la pacatezza di Idiosincrasia, un viaggio filosofico attraverso l’analogico che, tuttavia, ci porta a riflettere sul passaggio brutale da “società dei consumi” a “società dei consunti”. Siamo logori, e per questo Mattia ci chiede: «Parlami d’amore, e di quanto ce ne metti per non cedere a questo ragionar di pancia, all’ignoranza da difendere, parlami di quanto costa un grammo di coscienza per non lasciarmi andare a questa decadenza adesso che sei qui». Tutto si appoggia su una base più soft dei due brani precedenti, ma le dinamiche sono tutte nel testo, un’emesi di una coppia che cerca riparo dalla guerra verbale che spacca il mondo e anche le scatole.

Quando arriva Filippiche Mattia ci costringe a restare seduti sulla Delorean. Le percussioni elettroniche e i pad profumano ancora di anni ’80, e tutto viene reso piacevole dall’attitudine indie-pop e dal rullante altamente compresso e tenuto su frequenze medio-alte per darci uno schiaffo su una guancia e per accarezzarci sull’altra. Un’attitudine indie-pop, dicevamo, che si adagia su accordi di settima+. Mattia si dimostra insofferente e malinconico e ciò non gli piace, ma il mondo gli “scappa dalle mani” e deve rincorrerlo, mentre lei sorride. Intorno a sé, Mattia vede un mondo in cui la fede religiosa è diventata un salvagente e la politica si vanta di stare vicino al popolo, ma la gente muore ancora di fame e d’odio.

Tenco, nome di un cantautore che per la sua storia travagliata e misteriosa è divenuto negli anni l’idolo degli artisti più crepuscolari e decadenti, è il brano che chiude “Balìa” di Delmoro. Tenco è il pezzo che ricorda il Battiato più malinconico. Mattia è chiuso nel suo mondo e cita Vedrai Vedrai nel vano tentativo di convincere lei che presto andrà meglio, ma quella stessa lei lo lascia nel suo antro, tra ipocondrie e con scarse fantasie.

“Balìa” di Delmoro si chiude così, con uno stiletto un po’ avvelenato e un po’ mesto, ma maturo abbastanza per evitare di farci male. Lo stesso Mattia racconta il suo EP come il prodotto nato da un momento di confusione e forti tensioni:

Balìa è prima di tutto un suono che spinge la mia mente verso territori esotici, quasi di fuga, per poi riportarmi coi suoi significati nel qui ed ora, in una situazione dominata da una generale confusione, da crisi dei poteri forti, ma anche da preoccupanti ritorni vestiti da novità. Perché i significati di balìa hanno in ogni caso a che fare col potere, ed in questo periodo storico in cui sento una forte forza di cambiamento, sento però anche che siamo e forse sempre saremo in balìa di qualcosa, ora più che mai credo in balìa soprattutto di noi stessi.

Con questo EP, Mattia racconta la sua voglia di evasione con l’esotismo dei primi pezzi, decisamente ballabili e pieni di potenza emozionale, ma non dimentica di rivolgere lo sguardo alle strade delle nostre città, asfalto sul quale camminano le realtà più discordanti e i figli di una società che cambia e che ci fa un po’ paura. “Balìa” di Delmoro è anche il suggello dell’ingresso del cantautore nel roster di Carosello Records.