La recensione di Hurts 2B Human di Pink, un disco in cui leggerezza e animosità trovano pace armata

Dal duetto con Khalid alla collaborazione con Chris Stapleton, troviamo un'artista matura e inquieta, ma sempre più intensa


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La versatilità è propria della popstar statunitense, e in “Hurts 2B Human” di Pink possiamo trovare tutto ciò che ci piace ascoltare: non manca la ballata ma nemmeno l’irriverenza pop, ma soprattutto non mancano le capacità canore che negli anni l’hanno resa una delle realtà più interessanti del female power. Proprio Pink, infatti, aveva dato una grande prova di sé in quella Lady Marmalade che la vedeva spalleggiata da altre grandissime voci come Christina AguileraLil’ Kim Mya.

“Hurts 2B Human” è la sua ottava prova in studio, e ripercorrere la sua carriera è quasi d’obbligo: in quasi vent’anni di successi l’abbiamo vista spavalda, ispirata, innamorata, straziata e arrabbiata, a cominciare da Get The Party Started che ci aveva presentato una b-girl glitterata e anticonformista, per poi continuare con l’attitudine rock di Just Like a Pill, la disco di Feel Good Time e la malinconia strappalacrime di Try. 

In questo nuovo album la troviamo alle prese con collaborazioni eccellenti: Pink duetta con Wrabel in 90 Days, con Khalid nella title-track, con Cash Cash in Can We Pretend e con Chris Stapleton in Love Me Anyway. No, non è tutto, perché all’interno di “Hurts 2B Human” di Pink troviamo le firme di SiaBeck e addirittura di Dan Reynolds degli Imagine Dragons. Insomma, un prontuario di addetti ai lavori che i lavori li sanno fare con eccellenza.

Hustle apre le danze ed è subito groove: il co-autore e co-produttore Dan Reynolds ha dato il suo apporto e si sente, ma è proprio Pink a invitare il suo destinatario a “non rompere i co***oni”. Il brano è ideale per un ballo scandito da schiocchi di dita, con quel pop teso ai limiti del rock che si rigenera anche in (Hey Why) Miss You Sometime vagamente blues per la presenza del piano rhodes ma non altrettanto per l’autotune che tuttavia, insieme, danno vita ad un pop squisitamente acceso e vivace.

Walk Me Home era una delle anticipazioni del nuovo disco: il brano esprime il desiderio di un rifugio, dove la casa diventa l’isola felice per trovare riposo dalla confusione mentale. Non c’è strazio, solo un’accorata richiesta di essere lasciati in pace con le proprie riflessioni, e l’appello si fa più intenso in un ritornello altamente evocativo, senza esplosioni particolari ma con la profondità di una soluzione sonora emozionante, nel tipico stile della Pink più sofferta e sensibile.

My Attic, bella e coinvolgente, è una metafora sull’inconscio. L’attico è il mondo delle insicurezze di Pink, talmente blindato da non poter essere visitato da altri e talmente oscuro da nascondere un inferno personale impenetrabile. C’è la paura di occhi estranei: «Ho paura che tu possa trovarmi diversa, che tu possa farmi cambiare idea, che tu possa considerarmi pazza. Dimmi che sto bene, dimmi che resterai». Lo stesso inferno personale ritorna in 90 Days, in quel featuring con Wrabel che si configura come un gospel elettrico, un canto a cappella alterato dall’harmonizer e lastricato di emozioni discordanti: «Sto ridendo ma sto mentendo, mentre sorridi io sono la più triste, nascondo il volto per evitare che tu mi veda».

Un arpeggio audace di chitarra acustica introduce la title-track per poi sconfinare in un intenso r’n’b. Khalid interviene nella seconda parte della prima strofa e le loro voci si uniscono nel ritornello. I due timbri si abbracciano e cantano la difficoltà di essere umani e consapevoli: «Talvolta sono stanca di stancarmi dei miei pensieri, e tu sei l’unico che li fa smettere», da ascoltare ad occhi chiusi. Più brio e frivolezza, apparentemente, fanno parte di Can We Pretend con la partecipazione di Cash Cash. Can We Pretend è una canzone dance, un pop elettronico che serve a mascherare quella malinconia di chi ha raggiunto i 40 anni e vorrebbe averne ancora 22: «Possiamo fingere di avere 22 anni? Balliamo insieme sui tavoli, voglio che insieme non pensiamo a niente».

Courage racconta l’impossibilità di trovare il coraggio per cambiare e lo fa con liriche e linee vocali ispirate e profonde: «Cammino in salita e fa male comunque, seppellisco il mio cuore in questi detriti. Spero sia un seme, spero funzioni». Il pianoforte scandisce le battute, accompagnato da percussioni elettroniche che sono quasi un battito cardiaco. Pink canta la sua paura e la sputa fuori in uno dei brani più ricercati del disco. “Hurts 2B Human” di Pink è l’album di un’artista che si guarda allo specchio e non si vergogna più di mettersi a nudo.

Happy ne è la prova: Pink ci dedica alcune pagine del suo diario personale con una ballad serena e acustica. Lo stato di grazia è nel testo: «Forse sono troppo spaventata dall’essere felice». Chiunque di noi, almeno una volta, ha rifiutato la sola idea di essere felice perché la felicità non faceva parte della zona di comfort. La cantautrice statunitense ci descrive perfettamente questa condizione: puoi andare in analisi o circondarti di persone positive, ma per essere felice devi essere pronto.

We Could Have It All ci conquista dalle prime battute: batteria, basso e chitarre ci fanno ritornare a quel velato rock che trovavamo nelle prime produzioni di Pink. Un rock necessario alla rabbia sommessa e soffocata dal pianto di un testo che fa i conti con i bilanci della fine di una relazione, un rivedere le proprie posizioni e le proprie responsabilità. Il rullante in battere del ritornello è come una porta sbattuta con forza in continuazione, un sottolineare in rosso la parola “fine”.

Love Me Anyway, con la partecipazione di Chris Stapleton, è una canzone d’amore scritta con il miocardio. La penna è conficcata direttamente tra i tessuti e il cuore si fa calamaio per riempire la carta. Un pianoforte, due voci sorprendenti si intrecciano e intonano insieme una dedica che arriva fino al cielo: «Se vedessi le mie cicatrici, se ti spezzassi il cuore, se fossimo lontani milioni di miglia, andresti via? Mi ameresti lo stesso?». Circle Game arriva come una carezza, perché Pink usa le parole per stringere a sé sua figlia e riflettere sui mostri nascosti nell’armadio, gli stessi che la tormentavano da piccola e che ora minacciano la sua bambina. Ecco, il cerchio è proprio questo: fantasmi del passato che non ci abbandonano ma cambiano contenitore, cambiano destinatario.

Per ascoltare The Last Song Of Your Life dobbiamo preparare i fazzolettini: Pink parla a un amico, una persona che non è più in questo mondo e lo fa con tutta la dolcezza che la sua voce è capace di manifestare. Con queste lacrime si chiude “Hurts 2B Human” di Pink, e fare i conti con le nostre emozioni è d’obbligo. Troviamo un’artista sempre più matura e viscerale, capace di adattarsi ad ogni contenitore senza allontanarsi troppo dalla sua zona di comfort: paure e insicurezze sono la sua linfa, e proprio per questo non si sente pronta per trovare la felicità. Una felicità che, però, regala a noi con una tracklist equilibrata e una sinusoide emozionale bilanciata, perfetta per l’ascolto interessato ma anche per quello disimpegnato. Chi cerca empatia, allineamento e comprensione può trovare sollievo in “Hurts 2B Human”, dove leggerezza e animosità trovano pace armata.