Recensione di Osmosis su Netflix, la serie fantascientifica scimmiotta Black Mirror ma ne è solo un pallido riflesso

La serie francese potrebbe affrontare in modo nuovo i pericoli della tecnologia e la sua impossibilità di dare un senso pieno all’esistenza umana, ma invece si adagia sul lavoro già fatto da Black Mirror.

Osmosis su Netflix

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C’è Black Mirror, nel panorama televisivo attuale, e c’è tutto ciò che Black Mirror non è. Osmosis su Netflix appartiene a questa seconda categoria. La serie francese, disponibile sulla piattaforma di streaming dal 29 marzo, racconta di Paul ed Esther – interpretati da Hugo Becker e Agathe Bonitzer – due fratelli responsabili dello sviluppo di Osmosis, una nuova tecnologia in virtù della quale alcuni nanorobot vengono impiantati nel cervello umano. Il loro compito consiste nell’analizzare pensieri ed emozioni, incrociarli con i dati filtrati dai social media e con altre informazioni disponibili per trovare la perfetta anima gemella di un determinato soggetto.

Si tratta forse di un punto di vista alternativo sul primato dell’amore romantico? Nient’affatto, ed Esther lo dimostra. In Osmosis su Netflix, la donna incarna l’immagine del genio dell’informatica che rifiuta un coinvolgimento amoroso corporeo e preferisce ricorrere alla simulazione della realtà virtuale per soddisfare le proprie voglie. Non che per i soggetti sottoposti all’esperimento le cose siano molto più lineari. Noi stessi, in quanto spettatori, possiamo osservare come almeno i primi episodi tentino di affrontare il tema dei pericoli delle nuove tecnologie, ma finiscano invece per indugiare sui rischi che per loro rappresentano l’insicurezza, le ambizioni, la sofferenza… Che sia voluto o meno, quindi, Osmosis su Netflix ci lancia un messaggio ben preciso: per quanto si cerchi di inquadrare un individuo all’interno di una narrazione standardizzata, egli riuscirà comunque a darvi un’impronta personale.

Cosa c’entra Black Mirror in tutto questo? I rimandi all’episodio Hang the DJ sono evidenti nell’elaborazione di una tecnologia infallibile che aiuta le persone a trovare la propria vera dolce metà. A differenza dello stesso Hang the DJ, però, in cui la tecnologia si carica di un’astrazione e di un’inevitabilità che lascia i personaggi all’oscuro delle sue manovre, in Osmosis essa è più che altro uno strumento del quale ci si serve consapevolmente e sul quale si proiettano le proprie esperienze e la propria interiorità.

Sempre sulla scia di Black Mirror, Osmosis accatasta temi e richiami nel tentativo di guadagnarsi il titolo di show-veramente-fantascientifico-e-veramente-distopico, passando dalla realtà virtuale alla tecnologia dai dubbi risvolti morali, dall’utilizzo di esseri umani come cavie ai nanorobot, dalle voci robotiche all’idea degli algoritmi come via per la felicità. Eppure fallisce. Perché affastellare personaggi, vicende, idee in un arco temporale relativamente ristretto non è mai una garanzia di successo.

Questa, comunque, non è una piena bocciatura. Osmosis su Netflix riesce a essere visivamente piacevole e, pur non spiccando per originalità, lascia intravedere delle buone possibilità nello sviluppo dei suoi connotati più umani, come il rapporto tra i fratelli Paul ed Esther, le motivazioni alla base delle loro azioni, lo spazio per delle (leggere) riflessioni filosofiche.

In conclusione, rimproveriamo a Osmosis la sua mancanza di coraggio. Perché il problema non è parlare di tecnologia o delle sue derive, ma piuttosto farlo senza trovare una strada che altri non abbiano già percorso, e percorso meglio. La tecnologia può essere davvero qualsiasi cosa, e la ricerca dell’amore vero e perfetto può condurre davvero in qualsiasi direzione, quindi perché limitarsi a scimmiottare Black Mirror?

Per chi se lo fosse perso, ecco il trailer di Osmosis su Netflix, disponibile dal 29 marzo.