Recensione di After Life su Netflix, la dark comedy di Ricky Gervais colpisce per la sua resa brutale del dolore

Per quanto non particolarmente innovativa, After Life riesce a ritrarre in modo onesto e compassionevole la straziante paralisi di un uomo nell’oscurità della propria sofferenza.

After Life di Ricky Gervais

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Non puoi offendere la gente. […] Sì invece, è questo il bello. Non serve essere gentili e premurosi e amorevoli e avere integrità. È controproducente. Si presenta così Ricky Gervais in After Life, su Netflix dall’8 marzo. Tu sei buono – dice subito dopo al cognato – perciò ne approfitterò come fanno gli altri qui. Mi dai un avvertimento, io ti ignoro. Lo fai di nuovo, io ti ignoro. Faccio quello che voglio. Alla fine lascerai perdere e io vincerò. Il giudizio sull’ultima fatica dell’attore, comico, sceneggiatore, produttore britannico può facilmente prescindere da analisi tecniche e vincolarsi alla propria visione della vita. È ciò che Gervais deve aver messo in conto nel momento stesso in cui ha deciso di esplorare vicende e sentimenti così dolorosi.

In After Life, l’attore interpreta Tony, giornalista in una redazione locale, rimasto vedovo dopo la morte della moglie per un cancro. Questa tragedia personale lo avvolge in una sofferenza annichilente, senza rimedio, al punto da far emergere in lui il desiderio di dire a chiunque qualsiasi cosa gli passi per la testa. Nessun limite di decenza, nessun riguardo da parte sua, perché la vita non ha più senso e l’unico freno al desiderio di farla finita arriva dagli occhi del suo fedele cane affamato.

Per Tony la morte della moglie è al tempo stesso una mazzata e un’epifania sul significato della vita. Ed è come se da un punto segreto vicino all’orecchio o al cuore, Gervais lo imbecchi della ferocia di cui ha bisogno per vincere qualsiasi battaglia dialettica. In fondo i dialoghi, fitti come schemi studiati a tavolino per anticipare e abbattere ogni possibile argomentazione contraria, rivelano tanto di Tony quanto di Ricky.

La morte della moglie Lisa – vagheggiata come una donna così gioiosa, così serena nonostante la malattia, così perfetta da risultare irreale – lascia quindi il cuore ferito di Tony in balia di misantropia e cinismo. Le staffilate rivolte al cognato troppo buono, ai colleghi buoni a nulla, al postino pigro, al ragazzino grasso, sembrano convincerlo di possedere un vantaggio sulla vita, una lucidità esclusiva grazie alla quale puntualizzare crudelmente la vacuità delle convenzioni sociali che impongono di mostrare educazione e decoro.

Al tempo stesso Tony ha in sé un germe di bontà. Lo rivela Lisa in una serie di video lasciati al marito per aiutarlo ad affrontare la sua morte, e lo avvertiamo noi osservando le crepe nella sua armatura di dolore. La sua lotta fredda e spietata al politicamente corretto si scontra con piccole, grandi prese di coscienza sulla sofferenza altrui e l’implicita ammissione che la gentilezza, nelle molteplici forme che può assumere nella vita delle persone, non è sempre e solo una vuota pratica sociale.

After Life non sarà una serie perfetta, ma ne premiamo l’efficacia. Ha al suo arco tutte le frecce di un autore-regista-protagonista sagace, spigoloso, estremo, che affronta il tema della depressione non affidandosi del tutto a comodi espedienti lacrimevoli, ma tracciando la figura di un antieroe. Un antieroe che crede di aver trovato la panacea del suo dolore, ma che invece si ritrova a dover fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni. Potremmo non aver visto nulla di imprevedibile nel percorso di Tony verso l’elaborazione del lutto, ma i passi che compie nell’arco dei sei episodi mostrano un’umanità genuina e sofferente con la quale non è difficile empatizzare.

Ricky Gervais riporterà presto After Life su Netflix per una seconda stagione. Non sappiamo ancora cos’abbia in mente per il futuro di Tony, ma in attesa di nuovi sviluppi possiamo goderci una prima stagione compiuta, ben equilibrata tra cinismo e commozione. Ricky Gervais è certamente vicino alla quadratura del cerchio.