Kurt Cobain avrebbe compiuto 52 anni, ma il grunge sarebbe morto lo stesso

Sarebbe stato un cantautore? Un produttore discografico? Una cosa è certa: avrebbe celebrato il suo compleanno in silenzio, come quando spense i suoi giorni


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Kurt Cobain avrebbe compiuto 52 anni, e il 20 febbraio è il giorno che ogni figlio degli anni ’90 ricorda ad ogni ricorrenza. Quel tragico aprile del 1994 genera ancora sensi di colpa e amarezza, perché l’immagine del suo braccio e della sua gamba distesi sul pavimento senza vita sono un monito per la sua intera generazione. Musicista timido, sensibile e furioso, nella sua insicurezza maledetta ha rappresentato la “teenage angst” degli anni ’90.

La stessa “teenage angst” raccontata in Serve the servants e manifestata nella fortunatissima e odiatissima Smells like teen spirit, che egli stesso si era stancato di eseguire dal vivo. Il suo capello biondo, la faccia d’angelo e gli occhioni azzurri erano il volto dell’innocenza buttata con una certa forza nel mondo del mainstream che egli stesso rifiutava, visto che lo divorava ogni giorno. Eppure, quando saliva sul palco con la sua chitarra ad impugnatura mancina, con quell’aria un po’ trasandata e stanca, sapeva premere un acceleratore sonoro e infiammare il pubblico.

I Nirvana, nella schiera dei Mudhoney, dei Melvins, degli Alice in Chains e dei Soundgarden avevano creato un vero e proprio manifesto generazionale: una musica aggressiva, liriche disincantate e una totale avversione verso le convenzioni. Era il punk 2.0, quello lontano dagli eccessi di Sid Vicious e vicino al romanticismo dei jeans strappati e di un mondo che non corrispondeva un sentimento rimasto incompreso. Kurt Cobain avrebbe compiuto 52 anni da portavoce, con un mondo che non smette mai di ringraziarlo per aver offerto una strada e per aver insegnato che l’odio è il sentimento più umanoide del mondo. Sì, perché essere morto così giovane dopo aver dato il tuo prezioso apporto alla discografia alternative-rock non ti rende immune dall’odio.

Odiare Kurt Cobain è quasi un diritto, perché egli stesso avrebbe rifiutato l’abbraccio affettuoso e virtuale che i suoi fan gli dedicarono quando si sparse la notizia che il cantante dei Nirvana era morto a soli 27 anni. «Che, ci lasci così?», dicevano alcuni, e altri un po’ più iracondi gridavano: «Non dovevi fare la rockstar». Per “altri”, si capisce, si intende la moglie Courtney Love che lesse ai fan la lettera che il marito aveva lasciato accanto al suo cadavere. «Non dovevi fare la rockstar» diceva la cantante delle Hole con la voce rotta dal pianto, ma forse le sfuggiva che nessuno decide di fare la rockstar se non trova le condizioni ottimali per farlo.

Odiare Kurt Cobain significa odiare l’artista che egli stesso non voleva essere. Se nel 1987 girava l’America a bordo di un furgoncino insieme agli adiposi Tad – Kurt stesso raccontava che la band di Tad Doyle era solita espletare metetorismi quando nel retro del furgone non vi erano prese d’aria – per piccole tournèe contrattate con rimborso spese, nel 1994 viveva in una grande villa a Seattle e compariva su Mtv. Tutto ciò, secondo le sue memorie, si era fatto soffocante e lo aveva portato a vivere la sua arte come un timbro al cartellino.

Raccolse quel fucile, poi, secondo le notizie di allora, e si tolse la vita. Odiare Kurt Cobain è anche questo: non eravamo lì con gli smartphone, non eravamo stati in grado di documentare una sua ultima apparizione in pubblico per tenercela per noi. Non eravamo lì nemmeno quando Kurt era vivo. Avrebbe continuato a fare musica? Forse no. Forse avrebbe visto nascere i Foo Fighters e sarebbe diventato il loro produttore, o forse avrebbe continuato con le arti visive che tanto amava, quando si firmava come “Kurdt D. Kobain”. Forse avrebbe continuato come cantautore e forse si sarebbe separato da sua moglie, quella Courtney Love che il mondo odia.

Di sicuro avrebbe continuato a sostenere la teoria della morte del grunge. Non c’è più motivo per l’esistenza del grunge, perché gli anni ’90 non sono che un ricordo sbiadito e consumato sui nastri di una vecchia cassetta. “Grunge” è solo una parola, è rimasta tale, non è più un’attitudine né una filosofia. Le rockstar di oggi twittano e pubblicano stories. La voce dei Nirvana, probabilmente, lo avrebbe fatto a sua volta e avrebbe di nuovo vomitato la sua insofferenza sui social network. Ci piace ricordarlo mentre osserva il cielo quando intona Dumb, quasi per fotografare la facciata di quella che un giorno sarà la sua nuova casa. Lontano da tutti, dalle folle di adulatori e dai fotografi.

Kurt Cobain avrebbe compiuto 52 anni, ma non lo avrebbe detto a nessuno, perché sarebbero stati fatti suoi.