Tramonto, per tre giorni in sala il film del regista de “Il figlio di Saul”. Capolavoro (recensione)

Dal 4 al 6 febbraio esce nelle sale il nuovo film del premio Oscar László Nemes. Una ragazza torna a Budapest del 1913 sulle tracce del proprio passato. Intorno a lei un mondo giunge al crepuscolo. Un affresco d’epoca e una straordinaria avventura dello sguardo.

Tramonto

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Tramonto di László Nemes esce al cinema per soli tre giorni, sino al 6 febbraio, grazie alla distribuzione di Movies Inspired. Il film dell’ex assistente di Bela Tarr era passato in concorso all’ultima mostra del cinema di Venezia, accolto da un diffuso scetticismo, probabilmente scontando le enormi aspettative per l’opera seconda di un regista che all’esordio, con Il figlio di Saul, uno dei più innovativi film sull’Olocausto che si siano mai visti, aveva ottenuto il plauso generale della critica e il premio Oscar per il miglior film straniero.

In realtà Tramonto non è al di sotto del predecessore, anzi, e per certi versi ne definisce meglio ambizioni e linguaggio, in una direzione più apertamente, anche se elusivamente, narrativa. Bastano pochissimi tratti a Nemes, e un inizio di bellezza folgorante, per definire lo stile del film, ambientato a Budapest nel 1913, alle soglie della Grande Guerra. La giovane Irisz Leiter (Juli Jakab) torna a casa da Trieste per cercare lavoro nella più elegante cappelleria della città, un tempo appartenuta ai suoi genitori e poi rilevata, mantenendo il nome di famiglia, da Oszkár Brill (Vlad Ivanov, a nostro avviso uno dei migliori attori europei di oggi).

Brill non assume Irisz, la quale però non ha intenzione di andarsene, soprattutto quando scopre di avere un fratello mai conosciuto, Kalman, che ha lavorato nel negozio e poi ne è stato allontanato per non chiarissime ragioni. La ragazza si mette sulle tracce di questa ombra evanescente, figura che si capisce centrale nella Budapest del tempo, alla guida d’un gruppo di ribelli, forse anarchici, forse nazionalisti, che una sera irrompono a una festa di aristocratici compiendo una strage di cui Irisz è muta e inconsapevole testimone. E anche l’antica e nobile cappelleria, sotto la guida dell’ambiguo Brill che ha troppe modiste e troppo belle, non è probabilmente esattamente ciò che sembra.

Tramonto è un percorso di ricostruzione identitaria individuale, quello di una giovane donna che cerca di ricucire un passato di cicatrici familiari. Allo stesso tempo, attraverso la vicenda di Irisz il racconto si allarga a costruire un affresco dell’impero austroungarico colto al momento del crepuscolo, alle porte della Prima guerra mondiale che ne segnerà l’estinzione, sotto l’effetto d’una duplice spinta. Da un lato quella dei movimenti rivoluzionari, con gli atti terroristici che preludono all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando che diede la stura al conflitto. Dall’altra quella segnata dall’irruzione della contemporaneità novecentesca, tra capitalismo – il feticismo delle merci, siano essi gli elegantissimi cappelli o le persone stesse ridotte a oggetto di scambio – e avvento della società di massa – la folla convulsa della metropoli stipata nelle inquadrature.

E ritratto individuale e grande affresco corrono stilisticamente di pari passo. Tramonto, infatti, è il mondo osservato dal punto di vista d’una sola persona, Irisz, costantemente pedinata attraverso le peripezie della sua traballante inchiesta. Come ne Il figlio di Saul, lo sfondo dell’immagine è spesso fuori fuoco, e reso progressivamente nitido per rivelare il mondo intorno e i personaggi secondari che s’appalesano nel campo visivo della protagonista, pedinata dalla macchina da presa.

László Nemes possiede un raro istinto naturale dell’inquadratura e orchestra calibratissimi piani sequenza in cui l’interazione tra personaggi in primo piano e sullo sfondo è costruita come una coreografia, che aggiunge impercettibilmente tutti gli elementi necessari alla costruzione d’un disegno d’epoca, che non ha nulla dell’ingessato film in costume e ribolle d’una realtà, narrata attraverso vuoti e non detti, che si proietta facilmente sulle nostre inquietudini contemporanee. E se Il figlio di Saul, nel suo estremismo espressivo – solo inquadrature frenetiche in semisoggettiva – rischiava il formalismo, qui la maggiore varietà compositiva, con l’uso anche dei controcampi, aiuta a mimetizzare uno stile che resta innovativo e radicale senza quasi darlo a vedere.

Tramonto è un film costruito come un’inchiesta duplice, in cui la protagonista all’inseguimento degli indizi malfermi che potrebbero condurla al fratello è il corrispettivo ideale dello spettatore, ugualmente sballottato tra segnali opachi affacciati sull’abisso, pezzi sparsi da ricomporre per trovare il senso della vicenda narrata, nel percorso insieme esistenziale e storico-politico di un film che è anche un’avventura dello sguardo.