Bohemian Rhapsody? È un film santino che non dice la verità. Freddie Mercury sapeva anche deludere.

I Queen e Freddie Mercury sono stati una band leggendaria e lui era un grande animale da palcoscenico, ma per certe sue scelte del tempo mi deluse come persona (e non solo me) spegnendo ogni curiosità di intervistarlo.


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Red Box |  Freddie Mercury? Non l'ho mai voluto intervistare perchè non era una bella persona

Chiedo scusa ai fans con i paraocchi per quello che ho detto nel video e per quello che vado a scrivere, ma mi dissocio dal film “Bohemian Rhapsody” e dalla santificazione di Freddie Mercury e dei Queen. Per dare spunti di critica a quanto sto per scrivere, aggiungo che non ho visto il film, ma ne ho letto solo gli echi, dovuti anche al boom del botteghino: 28 milioni di euro solo in Italia, campione di incassi.

Ma perché non sono andato a vederlo? Non mi interessa vedere film che si basano su una storia vera raccontando falsità.

Ma perché allora ne parlo? Cavalco l’onda di un successo? No, semplicemente non ne potevo più di tutti i post che mi arrivavano in ogni diretta che faccio, soprattutto durante Let’s Spend Tonight Toghether, di notte, quando interagisco con tutti. In troppi mi chiedevano un parere su “Bohemian Rhapsody” e di fare uno speciale sui Queen. Allora ho deciso di sintetizzare tutto postando una splendida foto che feci a Freddie Mercury in un concerto a Zurigo alla fine degli anni ’70. Era un regalo che facevo ai fans dei Queen e nella didascalia ho scritto quello che ritenevo fosse chiaro:

“Ho visto i Queen dal vivo a Zurigo negli anni ‘70 e scattai loro foto bellissime. Ho preziose diapositive di quel concerto. Ne pubblico una qui. Freddie era davvero un animale da palco, anche se non mi incuriosiva come persona. Infatti non ho mai cercato di intervistarlo, anche se l’ho incrociato sia a Sanremo che a Montreux, dove declinai un invito a un party dei Queen su uno yacht per pochi giornalisti. I Queen rimangono un gruppo straordinario di cui ho tutti gli album in vinile.”

Apriti cielo. Ma come? Non hai cercato di intervistarlo? Non sei andato a un party dei Queen?!? E tante altre domande in tutti i post che mettevo, dove i Queen non c’entravano. Così venerdì 25 gennaio, a mezzanotte, ho fatto una diretta di Let’s Spend Tonight Together dove per due ore ho raccontato i perché e risposto alle domande. Ma ho visto che non è bastata. Allora ho registrato questo video per il mio Red Box dove ho sintetizzato il tutto in 8 minuti (da notare che non ci sono tagli, ma è tutto un piano sequenza. La verità la dimostri anche non facendo montaggi o tagli come in tutti i video che oggi gli influencer postano).

Ma veniamo ai fatti. Come detto ho assistito al concerto dei Queen alla fine degli anni ’70 e, avendo il pass, ho scattato foto meravigliose che un giorno entreranno in una mostra delle mie foto che prima o poi farò. Era bellissimo fotografare Freddie e la musica dei Queen potente. Non certo il miglior concerto visto. Di gran lunga superiori quelli dei Pink Floyd nel 1973 o dei Devo, ma un potente pop-rock.

Nel 1984 i Queen arrivarono a Sanremo. Io allora non ero amato dalle case discografiche e quindi non chiesi neppure l’intervista. Così partecipai a un incontro intimo con Freddie insieme ad alcuni giornalisti. Non ricordo neppure la domanda che feci, né ho mai rivisto le riprese. Io alle conferenze stampa non facevo domande o se le facevo non erano certo particolari, perché i giornalisti dei quotidiani se ne appropriavano, spacciandole per proprie, e ti ritrovavi la risposta data a te il giorno dopo stampata sui giornali. Quindi ho sempre tenuto le domande che ritenevo interessanti per le interviste private. Di quel Sanremo ricordo anche che dissi a Michele Di Lernia, discografico della EMI e dei Queen:

“Ma perché avete fatto fare ai Queen il nuovo singolo “Radio Gaga” le due serate al festival? Non potevate fare “We are the champions” la prima sera e “Radio Gaga” la seconda? Per far capire chi sono i Queen.”

Michele, stupito, mi rispose:

“Hai detto la stessa cosa che ci ha osservato Freddie Mercury. Anche lui voleva fare “We are the champions” la prima sera perché è il pezzo più famoso del gruppo.”

Questo serve a far capire come in quel periodo, nonostante il boom avuto con “Bohemian Rhapsody” (un capolavoro), i Queen non fossero ancora così famosi.

Alla fine del 1984, però, accadde qualcosa che mi fece cancellare i Queen dai miei radar. Da anni in Sudafrica era in atto un feroce Apartheid di cui stavamo prendendo atto. Nelson Mandela era in carcere dal 1964, ma la vicenda rimaneva nascosta. Stephen Biko fu arrestato, torturato e gli fracassarono il cranio nel 1977, ma noi ce ne accorgemmo solo grazie a Peter Gabriel che nel 1980 gli dedicò una struggente canzone, “Biko”, che ebbe un grande successo. Fu Peter Gabriel a rompere l’embargo e a rendere noto a tutti quello che stava accadendo in Sudafrica: il feroce schiavismo bianco che teneva incatenati i neri, legittimi proprietari di quella terra. Solo Cuba aveva invano denunciato l’Apartheid con manifesti e articoli.

Tra gli artisti cominciò a circolare una regola: rifiutare gli inviti per andare a suonare a Sun City, la ricca città di divertimento degli schiavisti bianchi, una sorta di Las Vegas sudafricana. Anche l’ONU appoggiò il boicottaggio a Sun City.  Chiaramente le offerte in denaro per andarci erano molto allettanti, ma tutti le rifiutarono. Tutti tranne Elton John, Rod Stewart, Frank Sinatra e… Queen.

Freddie Mercury dichiarò:

“Sono sicuro che il pubblico sarà fantastico. Abbiamo intenzione di suonare a Sun City, è un appuntamento importante. Elton John ci è stato ed è riuscito a richiamare una marea di gente, facendo un mucchio di soldi. E io sono nel giro anche per fare soldi”

Quindi: chissenefrega dell’Apartheid, dello schiavismo, del fatto che i soldi con cui mi pagheranno saranno insanguinati!

Il problema dell’Africa nel frattempo è diventato urgente. La BBC trasmette un documentario che mostra come tantissimi, anche bambini, stiano morendo di fame in Etiopia. Bob Geldof lo vede e immediatamente chiama Sting prima e Midge Ure dopo. Nasce l’esperimento Band Aid con la canzone “Do they know it’s Christmas” dove tutte le star invitate partecipano: Duran Duran, Spandau Ballet, U2, Boy George, George Michael, David Bowie, Paul McCartney etc. Tutte tranne i Queen. Infatti Bob Geldof si guarda bene dall’invitarli, visto che un paio di mesi prima hanno fatto 10 concerti a Sun City.

Freddie Mercury impazzisce per questa esclusione e, quando Band Aid si trasforma nel mega evento Live Aid di Wembley e Philadelphia, tramite la EMI impone a Bob Geldof la sua presenza. Nel frattempo Little Steven aveva pubblicato “Sun City”, brano dove tantissimi artisti cantavano che non si sarebbero mai esibiti a Sun City. Tra di loro: Bruce Springsteen, Bono Vox, Bob Dylan, Ramones, Miles Davis, Lou Reed, Peter Gabriel, Bob Geldof, etc. Fra l’altro la canzone “Sun City” è strepitosa e di gran lunga superiore a “Do they know it’s Christmas” e la risposta americana “We are the world”.

Quindi, a differenza da quanto raccontato nel film “Bohemian Rhapsody”, era Bob Geldof, l’organizzatore, a non volere i Queen al Live Aid e non il manager a non volerli mandare. Il film esalta anche la performance dei Queen come se fossero stati loro a decretare il successo del Live Aid. Sì, furono bravissimi, anche perché l’avevano preparata proprio come un trampolino di lancio del successo (chissenefrega della fame in Etiopia, io sono la Regina, se non hanno pane, dategli le brioches. Al Live Aid debbo oscurare tutte le altre performances).

Quando vidi Freddie Mercury farsi bello sotto lo stemma dell’Africa in quel luglio 1985 sul palco del Live Aid, dopo che pochi mesi prima aveva allietato come una prostituta i ricchi schiavisti sanguinari del Sudafrica, rabbrividii.

Un’altra bugia del film è quando racconta che Freddie informò, prima si esibirsi al Live Aid, i compagni di essere malato di Aids. Questo accadde in realtà circa 4 anni dopo.

Nel maggio 1986 andai a fare reportage al Golden Rose di Montreux. In quel periodo ero il giornalista televisivo musicale più importante in Italia, tant’è che a settembre avrei iniziato la rubrica Pinky all’interno della Domenica In di Raffaella Carrà. Per questo fui “onorato” di un invito al party riservato dei Queen su uno yacht. Non volevo avere nulla a che vedere con loro. Non mi interessava se nel frattempo erano diventati importantissimi: non sarebbero entrati nel mio Be Bop a Lula. A Montreux ho intervistato Eurythmics, Who, Julian Lennon, Genesis, etc., ma non chiesi di incontrare i Queen. E quando mi ritrovai fra le mani l’invito al party, dove l’alcool (e non solo) sarebbe scorso a fiumi e i fuochi d’artificio avrebbero sancito che i Queen erano le Regine dello show business, cedetti l’invito a Stefania Bochicchio, che allora era l’inviata di Be Bop a Lula a Londra.

Poi c’è tutta la vicenda della malattia di Freddie. Non la voglio approfondire, penso solo che, vista l’emarginazione che colpiva tutti i ragazzi che si ammalavano (allora l’opinione generale era: chissenefrega, tanto muoiono solo drogati e froci), Freddie avrebbe potuto fare molto per sensibilizzare il mondo su questa malattia e aiutare tanti ragazzi. Ma non lo fece, preferì cantare “The show must go on”. Sì, vero, lo show deve continuare, ma io posso decidere se non parteciparvi. E io lo decisi il giorno in cui Freddie e i Queen salirono sul palco a Sun City.

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