Torna Fedez, senza essersene mai andato, ed è subito Superficialità

Il nostro Stocazzetto continua con ogni mezzo la sua caccia a clic e visualizzazioni, purtroppo lo fa stampando musica e abboffandoci di inevitabile, per lui, superficialità.


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Non ho scritto neanche una riga su Atlantico di Marco Mengoni.
Era già successo con l’ultimo dei Negramaro e più recentemente con Love dei TheGiornalisti.
No, nessuna dimenticanza, sto qui a dichiararlo. Più una modalità a impatto zero per dire che, dell’ultimo album di Mengoni, come dell’ultimo dei Negramaro e di Love dei TheGiornalisti, non ho nulla da dire. Seppur per motivi differenti.

Nel primo caso perché ritengo, e lo ripeto da sempre, perché ritengo che Mengoni sia un nome prescindibile. Uno che lascia il tempo che trova, per intendersi, e che quindi non merita il gesto naturale di spenderci su delle parole.

Nel caso dei Negramaro, invece, è stata una scelta più atta a tutelarli, perché ho trovato il lavoro scarso, immeritevole di essere raccontato, e ho preferito non dirne che dirne male.

Love, infine, è una tale accozzaglia di suonini anni Ottanta, di melodie trite e ritrite, di occhiolini fatti all’ascoltatore, che più che prescindibile si dovrebbe parlare di inflazionato, e quindi di fastidioso. In questo caso non ne ho parlato perché solo l’idea di riascoltarlo per doverne scrivere mi ha fatto risalire le palle su per i condotti dove si trovavano nei primi mesi di vita.

Dico questo perché, oggi, mi trovo a scrivere di un tizio, che mi sono ostinato a chiamare Stocazzetto per tutta l’ultima edizione di X Factor, nelle pagelle che scrivevo con mia figlia, di cui, in un mondo giusto, o anche solo in un mondo decente, poco meno che schifoso, io non dovrei affatto occuparmi: Fedez. E ne sto scrivendo non perché pensi sia imprescindibile, non perché il suo album non abbia deluso le mie aspettative, non avevo aspettative, e se ne avessi avute in effetti sarebbero state deluse, né per le mille ragioni valide per cui non voglio più sentire una canzone dei TheGiornalisti.

No, ne scrivo perché, credo, alla millesima cazzata riportata da un collega a quattro zampe, che non è un modo simpatico per chiamare i cani o i gatti dei miei colleghi, ma proprio i miei colleghi nel momento in cui si mettono a quattro zampe per leccare piedi e culo del personaggio di turno, credo sia il caso fare delle puntualizzazioni.

Fedez non è un artista.

Non lo è in senso assoluto, a meno che non vogliamo prendere per buono quanto riportato nei contratti discografici, senza tenere conto di cosa arte sia e non sia. Non lo è neanche relativamente, perché a oggi non ha prodotto nulla che esuli dal campo del marketing spiccio, cioè non ha veicolato neanche una canzone che non mirasse a portare a casa visualizzazioni,  click, traffico. Prova ne è il singolo di lancio di Paranoia Airlines, questo il titolo del suo nuovo album, brano dedicato al figlio Leone avuto da Chiara Ferragni, e immediatamente utilizzato da una nota marca per lo spot del nuovo smartphone. Neanche il più cinico dei cinici darebbe una canzone nata, questa la narrazione, per proprio figlio, così, per far cassa. Invece è andata così, e tutto il lancio dell’album è stato all’insegna del marketing neanche tanto 2.0. Roba tipo, vieni a cena con noi, fai un giro in aereo con noi, con tanto di conferenza stampa a Linate, che dopo l’aereo Alitalia affittato dalla Pausini suona un po’ come cereali sottomarca spacciati per originali, Arisa docet. Come per paura di non sfondare in classifica, con Salmo lì ancora bello presente e pimpante.

Ecco, però dobbiamo giungere al dunque. Perché dopo averci regalato, si fa per dire, i suoi pensierini riguardo la paternità, ora Fedez ci tiene a farci sapere di avere paturnie e paranoie come tutti noi, sempre rimanendo nel campo dei pensierini-ini-ini. E lo fa attraverso le sue nuove canzoni. 

Anche qui, Laura Pausini ha tirato fuori un anno fa, a Linate, ripeto, un album sulla propria fragilità, album che di fragile aveva solo le canzoni, più che fragili inconsistenti, e ora Fedez ci parla delle sue fragilità, solo che le chiama paranoie, perché a discapito di un immaginario da vecchio ha solo ventotto anni.
A me, personalmente, delle paranoie e paturnie di Fedez frega poco. Anzi niente. Idem per la Pausini, chiaro, ma oggi parliamo di Fedez.

Non mi frega nulla. Perché nel suo costante tentativo di esserci e di esserci bello visibile ha fatto il suo core business, e ora non può star qui a scassarci la uallera col fatto che il successo non è esattamente come se lo aspettava, che anche essere sposato ha le sue incertezze, e tutto il resto.

Siamo tutti insicuri, Federì, non c’era certo bisogno che ce lo raccontassi con tanta superficialità tu.

Perché, servisse un punto cruciale anche una stroncatura dell’ultimo di Fedez, qui sta il punto cruciale: come a voler emulare la propria statura fisica, Fedez non riesce mai a non essere in superficie, come se avesse paura di andare dove non si tocca, nel suo caso nella battigia.

Così, quello che poteva essere anche un buon punto di partenza, l’insicurezza, diventa in realtà un compitino portato a casa con poco più di un tema da prima media. Il che è di per sé grave, perché passi essere banale nel raccontare l’amore, sentimento abusato nelle canzonette, ma farlo andando a parare proprio in un comune sentire così contemporaneo, beh, tradisce solo paraculaggine. Musicalmente, anche qui stiamo parlando di potenza e non di atto, le cose sembravano andare in altra direzione. Perché quantomeno ci ha provato a essere vario, a spostarsi dai clichè che uno tende a associargli. Ma è tutta forma e poca sostanza. Perché se cantare canta così, rappare rappa così e autotunneggiare autotunneggia così, beh, forse è il caso che si concentri su una sola forma di espressione e approfondisca almeno quella.

Insomma, niente ciambella e niente buco. Solo  l’idea di fare una ciambella col buco che si ferma ancora prima di sporcarsi le mani con farina e uova.

Resta tutto quello che Fedez e la Ferragni ci hanno costruito intorno, i tanti e tanti modo pensati per vendere questo benedetto cd. Roba degna di una Vanna Marchi, ma senza maghi lì a indicare la strada.

Ora, visto che il tempo passa e se ne va, come cantava il tizio che oggi ci si mostra sotto forma di cartone animato dentro la televisione, torno a occuparmi di musica vera e non di televendite. Tanto Fedez ce lo ritroviamo l’anno prossimo a X Factor, non ha mancato di dirlo, tra le righe, a Linate, smentendo il se stesso che, durante la Finale del Forum, aveva dato l’addio al programma di casa Sky. Stocazzetto è dietro l’angolo, con o senza paranoie. E per noi poveri Cristi mai una gioia.