Il Titanic con DiCaprio stasera in tv, un mito tra storia e cinema

In due parti oggi e domani, su Canale 5 alle 21.21 il film di James Cameron con DiCaprio e Kate Winslet. Uno dei più straordinari successi della storia del cinema. Con al centro il mito del transatlantico “inaffondabile”. Ripercorriamone la storia.

Titanic

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Quando Titanic vinse 11 statuette agli Oscar del 1998, Curtis Hanson, regista dell’altro film dato tra i favoriti quell’anno, L.A. Confidential, diede una risposta serafica a chi gli chiedeva se fosse rimasto deluso. “Come disse Frank Capra, non girare il tuo film migliore nello stesso anno in cui qualcun altro ha fatto Via col vento” (il film di Capra, per inciso, era Mr. Smith va a Washington).

L’affermazione è sintomatica: perché ogni volta che si parla di Titanic di James Cameron, è inevitabile paragonarlo ai massimi kolossal hollywoodiani. Talvolta il parallelo viene fatto con registi di ambizioni, è il caso di dire, “titaniche”, e i loro superspettacoli d’autore. Così l’influente critico Owen Gleiberman, quando lo recensì, disse che Titanic “ti travolge a tal punto con passioni elementari da costringerti a confrontarlo con gli spettacolari film delle origini di David Wark Griffith” – il “padre del cinematografo”, come riconosce persino il ragioniere Fantozzi. Altre volte, come appunto Curtis Hanson, viene spontaneo citare Via col vento, un film che resta, a distanza di ottant’anni, il vero simbolo della fabbrica dei sogni del cinema americano (e delle megalomanie del produttore David O. Selznick).

Titanic: i numeri di un film fuori scala

Tutto questo è inevitabile: Titanic è un’impresa talmente fuori scala che, per riuscire ad apprezzarne le dimensioni, è necessario utilizzare metri di misura adeguati, e paragonarlo a film suoi pari. Ogni cosa in Titanic è all’insegna della grandezza: il budget, 200 milioni di dollari, la nave ricostruita sul set lunga 236 metri (il 90% dell’originale, altro che modellino!), la vasca da 65milioni di litri d’acqua che l’accoglieva, e così via. Il progetto fu così dispendioso che la Fox, allarmata dal protrarsi della lavorazione e dal lievitare dei costi, cercò un co-finanziatore, alleandosi con la Paramount. Alla fine furono tutti ripagati: oltre alle 11 preziose statuette, Titanic portò a casa, considerando anche la riedizione in 3d del 2012, la bazzecola di 2,2 miliardi di dollari, cui vanno sommati i proventi della vendita dei dvd (più di un miliardo, pare), diritti televisivi e 30 milioni di dischi della colonna sonora, con la celebre My Heart Will Go On di Céline Dion – che Cameron nemmeno voleva!

In Titanic, ovviamente, si riflettono le ambizioni del suo regista, James Cameron, abituato a operazioni smisurate e all’insegna della sperimentazione tecnologica – fino ad allora i due Terminator, The Abyss, True Lies. Quando nel 1985 gli oceanografi Jean-Louis Michel e Robert Ballard trovarono il relitto del Titanic a quasi 4000 metri sott’acqua, qualcosa nella mente del regista scattò. E cominciò a immaginare un film che raccontasse la triste tragedia del transatlantico più grande del mondo (269 metri), l’“Inaffondabile”, questo il suo soprannome, che s’inabisso dopo una collisione con un iceberg durante il suo viaggio inaugurale, il 15 aprile 1912.

Il mito del Titanic nella storia

Il Titanic non è un mito solo per Cameron bensì, quantomeno, al di qua e al di là dell’oceano Atlantico. Effettivamente c’è qualcosa di simbolico nella storia di un’imbarcazione nata per essere la materializzazione del progresso e della potenza della cultura occidentale, e invece destinata a una così ignominiosa fine. Una tragedia che “fu la fine della belle époque”, scrisse il germanista Cesare Cases parlando del poema La fine del Titanic di Hans Magnus Enzensberger. E anche, secondo gli studiosi Tim Bergfelder e Sarah Street, che vi hanno dedicato uno stimolante libro, “una monumentale icona del ventesimo secolo, e forse più in generale delle aspirazioni e delle ansie della modernità […] un segno della fine dell’ordine mondiale dell’imperialismo del 19esimo secolo e una prefigurazione della Prima guerra mondiale”.

In una singolare recensione del film di Cameron, Mike Pence – l’uomo destinato a diventare il vicepresidente di Donald Trump – scrisse poi che “quello che ci attira in questo film è la sensazione innegabile di star vedendo scorrere davanti ai nostri occhi una perfetta metafora dell’America del tardo ventesimo secolo”. Da conservatore, Pence usava strumentalmente il disastro raccontato dal film per parlare dell’irrefrenabile crisi morale degli Stati Uniti. E pur potendo reputare bizzarra la sua rilettura, non si può fare a meno di pensare che, solo quattro anni dopo Titanic, ci sarebbe stato l’11 settembre. “La reazione alla tragedia del Titanic – dicono ancora Bergfelder e Street – ha trovato un’eco inquietante all’inizio del ventunesimo secolo nell’attacco alle Torri Gemelle, visto come un punto di svolta storico […] Titanic come un precedente e un modello dell’11 settembre”.

Il mito di Titanic nella cultura e nel cinema

Non è il caso di spingersi oltre lungo questi irti sentieri interpretativi. Si trattava solo di capire a grandi linee quanto l’evento del Titanic abbia inciso e ancora incide con la sua straordinaria risonanza simbolica sulla cultura, la storia, l’immaginario collettivo occidentale. Al punto da affascinare la letteratura (Thomas Hardy, Joseph Conrad, H. G. Wells, Virginia Woolf, Beryl Bainbridge, Julian Barnes, tra gli altri), la musica colta e popolare e, soprattutto, il cinema.

Il primo film sull’affondamento esce in tempo reale, nel 1912, il tedesco In Night and Ice. Poi c’è Atlantis, una coproduzione anglo-tedesca agli albori del sonoro, nel 1929, pensata per fare concorrenza al predominio dell’industria hollywoodiana. Nel 1943 i nazisti produssero un Titanic di aperta propaganda antibritannica, per mettere alla berlina la sete di profitto degli inglesi; visto l’esito della guerra mal gliene incolse. Più recenti, e conosciuti, sono lo statunitense Titanic di Jean Negulesco del 1953 e l’inglese Titanic, latitudine 41 nord (A Night to Remember) di Roy Ward Baker, del 1958. Li citiamo non tanto perché costituiscano dei modelli importanti per il Titanic con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet – anche se l’ultimo condivide col film di Cameron la preoccupazione realista –, ma perché ci rivelano quel che accomuna la nave più grande del mondo e il cinema e perché la settima arte sin dai suoi primordi si sia interessato a quella tragedia.

“Il disastro e i primi adattamenti cinematografici del Titanic – cito ancora Bergfelder e Street – si verificano esattamente in quel cruciale momento storico in cui il cinema finisce di essere una semplice novità tecnologica, per diventare la forma di intrattenimento di massa e il mezzo di comunicazione più importante del secolo. Sotto questo aspetto, la storia del mito del Titanic e la storia del cinema, entrambi intesi come mezzi narrativi e di rappresentazione, sono strettamente interconnessi”.

In poche parole il Titanic, col suo gigantismo che metteva a frutto le più rivoluzionarie tecnologie dell’epoca, veniva percepito come un mito, letteralmente un kolossal, al pari dei grandi spettacoli dell’industria cinematografica. È anche per questo che James Cameron nel 1995, quando comincia a pensare al film, fa ben 12 immersioni fino ai quattromila metri del relitto, per filmarlo con speciali macchine da presa a 35 millimetri e ottenere materiale autentico da utilizzare per il film. È praticamente la storia della cornice del film, quella del “predatore della nave perduta” Bill Paxton, accecato dal sogno di ritrovare nel relitto il “Cuore nell’oceano”, un diamante da 56 carati appartenuto a Luigi XVI.

Cameron insomma, che di Titanic ha scritto anche la sceneggiatura, si mette palesemente in scena come l’ambizioso che vuole ritrovare un tesoro. E lo fa anche con autoironia: perché il regista affascinato dal gigantismo del progetto assomiglia anche a un altro personaggio, Joseph Ismay, l’amministratore della compagnia di bandiera del Titanic. Costui magnifica a tavola le dimensioni inusitate della nave, e viene zittito dalla giovane ribelle di buona famiglia Rose (Kate Winslet), che gli chiede se sappia cosa dice il dottor Freud a proposito di questa smodata passione per le “dimensioni”.

Titanic: la storia d’amore e il disaster movie

Presentando i personaggi, si svela uno dei segreti del successo planetario di Titanic. Lo stesso di Via col vento: intrecciare una tragedia della Storia con la s maiuscola con un’appassionante storia d’amore. Titanic dura oltre tre ore ed è perfettamente diviso in due parti, anzi in due film.

Il primo è la romantica storia d’amore alla Romeo e Giulietta tra lo squattrinato pittore in terza classe Jack Dawson (Leonardo DiCaprio, che con questo film diventò un divo) e Rose, la ragazza perbene promessa sposa di Cal Hockley (Billy Zane), rampollo d’una facoltosa famiglia americana. Una storia raccontata con tutti gli effetti e anche gli effettacci. La prima volta che la vediamo, Rose ci si svela lentamente comparendo dietro un cappello a larghe falde, e anche Jack lo vediamo di spalle, giovane gaglioffo che si gioca il destino a carte. Puro cinema popolare ed epicizzante.

È la perfetta storia d’amore. Piena di pathos: lei vorrebbe suicidarsi, lui la salva. Conflitti: lei ha un futuro radioso segnato, ma non ama Cal, lui è senza un soldo ma è ricco di spirito, coraggioso e altruista. Nella loro storia si riflette quella della nave (e del mondo intero), rigidamente divisa tra la lussuosissima prima classe e la terza degli indigenti che sognano l’America per cambiare vita. E poi Cal è un cattivo matricolato, corrotto, vigliacco fino al midollo, ossessionato dal suo privilegio e destinato prima o poi a fare la fine che si merita. Intorno al terzetto da melodramma, il contorno di personaggi minori, tra aiutanti, simpatizzanti e nemici.

Il secondo film è il disaster movie di un’ora e mezza, con l’affondamento della nave che lascia, a oltre vent’anni di distanza, ancora sbalorditi per la qualità della messinscena e la cura degli effetti speciali. È questo il film che interessa di più a James Cameron. Lo si capisce dalle lunghe sequenze che mostrano nei minimi dettagli il funzionamento del Titanic, muovendo la macchina da presa senza soluzione di continuità dalla sala comandi fino alla sala macchine, “con i pistoni alti come cattedrali”, come scrisse il critico Rogert Ebert nella sua appassionata recensione. E lo si apprezza ancora di più nella minuziosa parte dell’affondamento, con la nave che s’infrange sull’iceberg, si spezza, s’innalza e s’inabissa vertiginosamente.

La seconda parte però, a pensarci bene, non potrebbe esistere senza la storia d’amore. Nel senso cioè che i due film si giovano l’uno dell’altro e sono indissolubilmente legati. Lo spettatore si entusiasma al lunghissimo disaster movie solo perché s’è immedesimato nel film d’amore. Allo stesso tempo la passione tra Rose e Jack, che presa di per sé è poco più d’un fumettone, si trasforma in un archetipo, nell’essenza stessa dell’amore romantico, proprio perché la loro vicenda si staglia sul fondale dell’immane tragedia.

L’amore tra i due diventa gigantesco, assoluto, eterno, perché a essere straordinaria e proverbiale è la vicenda del Titanic inaffondabile e affondato. Proprio come finiscono alle volte quelle storie d’amore che si spera durino “per sempre”. Il risultato è un film, citando ancora Ebert, che “si muove nella tradizione della grande epica hollywoodiana”. Classico nei sentimenti, visionario nella tecnica. Una di quelle rare avventure cinematografiche di fronte alle quali il giudizio critico ammutolisce e ci si gode semplicemente lo spettacolo.

Titanic (1997) di James Cameron, con Leonardo DiCaprio, Kate Winslet, Billy Zane, Bill Paxton, luedì 7 e martedì 8 gennaio su Canale 5, ore 21.21.