Jimi Hendrix, 76 anni di psichedelia

Wah, distorsione, eccessi: l'artista statunitense rinasce ancora, perché grazie a lui il rock non è mai morto


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Quando si pensa alla Fender Stratocaster si pensa soprattutto a Jimi Hendrix, al secolo James Marshall Hendrix, che con la sua fascia sulla testa e l’impugnatura mancina si materializza in ogni manifestazione che abbia a che fare con il rock, con il blues e con la libertà.

Jimi Hendrix, infatti, aveva liberato il rock e lo aveva reso sporco e disturbato, iconico. Erano gli anni dei Led Zeppelin, dei Pink Floyd e della risposta che i Rolling Stones davano ai conterranei Beatles e dei Cream, e su questi ultimi è doveroso fermarsi un attimo. Dopo aver offerto il suo estro in giro per gli Stati Uniti catturò l’attenzione di Chas Chandler, bassista della storica band degli Animals, che lo convinse a spostarsi a Londra. Nacque la Jimi Hendrix Experience, un power trio – formula ancora usata nel rock contemporaneo – con Mitch Mitchell alla batteria e Noel Redding al basso. Non era tutto, perché la loro performance aveva conquistato un giovanissimo Eric Clapton, chitarrista dei Cream che Jimi Hendrix apprezzava particolarmente.

Ricostruire la sua storia, oggi, sarebbe ipocrita e scontato. È sufficiente scoprire il suo sound, il suo monumentale testamento che lo ha reso infinito. Il wah che riecheggia ogni volta che si pensa a Voodoo Child (Slight Return), quell’effetto nato per puro caso e che Jimi Hendrix ha reso famoso in tutto il mondo; il fuzz, quel Big Muff che si vocifera sia un’invenzione e brevetto di Hendrix ma che in realtà era parte del suo set, come accade per Foxey Lady.

L’abilità di trasformare la chitarra in un’opera d’arte da celebrare, valorizzare e anche possedere e distruggere ha spesso portato i critici a creare parallelismi con Niccolò Paganini, che con il suo “Cannone” – il nome che il violinista aveva dato al suo strumento – aveva innovato la musica classica dell’Ottocento inventando lo staccato e il pizzicato. Jimi Hendrix era andato oltre: si era reso un tutt’uno con la sua sei corde, tanto da sentirsi libero di incendiarla sul palco e di farla ruggire come una bestia, perché la dimensione live doveva essere, prima di tutto, sincerità.

La sua versione di Hey Joe di Billy Roberts è, ancora oggi, tra le cover più suonate dagli artisti di tutto il mondo, grazie a quel riff iniziale che fa sempre esplodere le folle e incantare anche i puristi più inossidabili. Lo celebra anche Caparezza nel brano La rivoluzione del Sessintutto che apre l’album Le dimensioni del mio Caos (2008): “Seni nudi su Electric Ladyland, Jimi Hendrix è ginseng“, con riferimento, appunto, alla copertina di Electric Ladyland che decretò la fine della Jimi Hendrix Experience ma la consacrazione della leggenda, grazie a brani come la già citata Voodoo Child (Slight Return), Crosstown traffic ma anche l’interpretazione di All along the watchtower di Bob Dylan, per un doppio LP che diventò due volte disco di platino.

Probabilmente se oggi fosse vivo sarebbe un produttore oltremodo impegnato o seguiterebbe a fare musica in modo instancabile, creando “signatures” per ogni pezzo di liuteria destinato a fare del rock. Oggi Jimi Hendrix spegnerebbe le candeline in una stanza interamente arredata di premi, riconoscimenti ma anche di strumenti esposti come cimeli nella memoria della sua brillante carriera. Attorno a lui siederebbero Eric Clapton, Lenny Kravitz, Jimmy Page, Keith Richards e Jack White tra i vivi; Chris Cornell, Kurt Cobain, John Bonham, Michael Jackson, George Harrison, John Lennon ed egli stesso, un giovane Jimi Hendrix, tra le leggende.