L’impegno di Credo di Vincenzo Incenzo è musica tra il chiasso di un tempo liquido vocato all’individualismo (intervista)

Credo di Vincenzo Incenzo è un granitico no all'individualismo: ecco cosa ci ha raccontato l'artista sul difficile ma stimolante passaggio alla "prima fila".

credo di vincenzo incenzo

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Credo di Vincenzo Incenzo è il disco di cui la musica italiana aveva bisogno. O è Vincenzo Incenzo ad aver bisogno della musica italiana, quella della melodia e delle parole? Se la vita va vissuta secondo un proprio punto di vista sul mondo, non si può che ritenere quanto musica e cantautori siano legati a filo doppio, quello sul quale scorre un sottile collegamento di comunicazione che rende la nostra cultura musicale unica al mondo.

La musica delle parole è quella che ha reso Vincenzo Incenzo un autore affermato, al fianco di alcuni dei più grandi artisti che non portano esclusivamente il nome di Renato Zero, ma anche quello di Michele Zarrillo, Sergio Endrigo, Ron, Patty Pravo, Ornella Vanoni, Lucio Dalla e Franco Califano.

Il nuovo album di Vincenzo Incenzo è quindi una grande sorpresa, nella quale la verità di una voce cristallina accompagna il messaggio di L’acrobata (brano gigantesco portato al successo da Michele Zarrillo), ma è anche uno spunto di riflessione sulla totale abulia che ci ha travolti e che Incenzo condanna – tra il serio e il faceto – in Je suis.

Ampio spazio è stato concesso al tema dell’amore, dal quale non si può prescindere, a cominciare dalle nuove e personali rese di L’elefante e la farfalla e L’acrobata, ma anche nelle parole di La mia canzone per te, nella quale si canta della semplicità di un sentimento che non può essere schiavo della razionalità.

C’è anche Renato Zero, in Credo, con una sua interpretazione di Cinque giorni che mai potrà essere slegata dal nome e dal talento di Michele Zarrillo, che per primo ha portato al successo quello che è diventato un classico della sua discografia. Ed è stato proprio Renato Zero a credere nel suo passaggio dal dietro le quinte al centro della scena, quella per la quale ha atteso di pubblicare un disco in età matura che ha già riscontrato il parere favorevole del pubblico e della critica.

Nel suo terreno lasciato a maggese c’è anche L’impossibile vivere, il primo della lunga collaborazione con Zero, ma anche L’alfabeto degli amanti, identificata nella voce di Michele Zarrillo e in gara al Festival di Sanremo del 2006. Credo è quindi il primo vero raccolto di quel terreno che ora necessita una grande cura, quella che passa per la responsabilità nei confronti del pubblico e alla quale Incenzo non sembra intenzionato a sottrarsi.

OM ha fatto una chiacchierata con Vincenzo Incenzo, che ci ha raccontato quali siano alcuni degli obiettivi di Credo, nuovo album rilasciato il 19 ottobre con la produzione di Renato Zero.

Il tuo nuovo album si intitola Credo, in cosa crede Vincenzo Incenzo?

Credo nella possibilità che le canzoni possano avere un ruolo, un ruolo sociale e che possano parlare alla gente. Credo che possano sollevare delle domande, così com’è accaduto nella grande stagione dei cantautori. Il disco vuole riabbracciare quell’onda bella e costruttiva di quando la canzone era testimone del proprio tempo, pur avvalendosi dei codici espressivi di adesso e della contemporaneità. Non è un disco nostalgico. Il titolo, che è stato voluto da Renato Zero, vuole proprio rispondere a questo desiderio di pensare alla canzone come a una forma di impegno.

Com’è nata la collaborazione con Renato Zero?

La nostra collaborazione ha raggiunto i 20 anni. Abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 1998 ma questa è stata una svolta improvvisa. Gli avevo fatto ascoltare un brano, due anni fa, che avrebbe dovuto cantare in un suo disco. Mi chiese allora chi fosse quello che cantava nel provino dato che non avevamo mai parlato di me in quei termini. Quando ha saputo che si trattava di me mi ha detto ‘ti produco io il disco’ perché era rimasto colpito dal fatto che cantassi. Così è stato: ci siamo messi a lavorare. Mi ha sorpreso questo suo passaggio da star a produttore molto naturale e con molta umiltà. Si è messo a disposizione delle mie canzoni con molto rispetto, questa cosa mi ha fatto molto piacere. Ha fatto un passo indietro come artista per dare spazio al mio disco da cantautore.

Je suis è il primo singolo estratto da Credo ed è chiaramente uno slogan. Ritieni che la musica possa essere ancora un mezzo per superare l’individualismo della società moderna?

Je suis è una provocazione e un invito a pensare a quante volte riteniamo di essere al centro dell’arena e al centro della rivoluzione quando invece siamo comodamente seduti sul nostro divano a fidarci di un post o di un like ed è diventata questa la nostra massima espressione dell’esserci, del nostro partecipare. La paura è quella che, sempre più, ci si stia chiudendo in questa scatola magica nella quale una notizia vera vale come la falsa. Je suis è quindi un invito a questo tipo di discussione, a pensare che gli smartphone non possano sostituire la piazza. C’è bisogno di una fisicità che i social e i media non possono restituirci in toto. Non sono uno che li condanna, ma c’è bisogno di fisicità nelle rivoluzioni, nell’amore e nei rapporti.

Pensi che la musica possa ancora essere portatrice di un messaggio di cambiamento?

Così è stato così in altre stagioni fortunate ed è un peccato che la musica, oggi, sia intesa come qualcosa di accessorio ad altre cose che facciamo durante la giornata. Ho dei ricordi bellissimi di album di De Gregori, Venditti, Dalla, Fossati, De Andrè quando le canzoni entravano nel comportamento della gente, dei giovani e suggerivano delle vie d’uscita. Io penso che sarebbe bello poter tornare a una musica che sia centrale, ma non parlo solo della musica ma di tutte le forme d’arte. Penso che possano avere un valore di comunicazione forte e che possano curare questa forma di solitudine abissale nella quale ci stiamo immergendo credendo invece di essere in mezzo a tanti. Quindi credo fortemente che la canzone possa dare un contributo in questo senso, l’arte è una forma di comunicazione non completamente controllabile dal sistema e che quindi possa sfuggire alla massificazione attraverso l’impegno degli artisti.

Cosa ti senti di consigliare ai ragazzi che si avvicinano alla musica? Pensi che la musica possa essere ancora ritenuta universale o funziona di più seguire la moda del momento?

Suggerisco sempre ai ragazzi di coltivare la propria differenza. Se uno rimane fermo sul suo punto di vista, prima o poi qualcosa succede. Io ne sono un esempio vivente, dal momento che non ho fatto un disco a 20 anni. Non ho voluto adottare altre strategie che non rispecchiassero me stesso. L’unica forma di salvezza è veramente quella di rimanere se stessi. Come vediamo, si può arrivare in vetta in un attimo ma in un attimo si scende. Gli exploit mediatici non sono destinati a durare nel tempo, anche se oggi è molto più difficile dal momento che tutto è liquido, tutto è veloce. Si può cercare di invertire questa tendenza, anche se questa fase di saturazione la stiamo vivendo in toto presto verrà superata e ci sarà bisogno ancora di creatività e di argomenti veri.

Nel tuo disco ci sono alcuni dei brani che hai scritto per altri artisti come L’elegante e la farfalla. Come hai vissuto il passaggio da autore a cantautore?

Questo è stato un consiglio di Renato Zero, anche se io ero reticente perché non volevo generare nessuna forma di confronto con altri grandi artisti che hanno cantato queste canzoni. Con Renato Zero abbiamo pensato di sdoganare completamente il brano dalla prima resa e di portare qualcosa di nuovo. Questo è qualcosa che mi gratifica molto, poiché è come se il brano fosse tornato al momento della scrittura, al momento in cui scrivevo le parole. Chiaramente i grandi interpreti fanno propria la canzone, quindi anche per questo abbiamo pensato a un arrangiamento minimale con L’elefante e la farfalla con il solo accompagnamento della chitarra, mentre L’acrobata, addirittura, è solo voce. Ho voluto far vedere lo scheletro della canzone, la fase creativa che è quella che mi interessa di più.

Pensi che il viaggio di Credo si debba fermare ai firma copie o hai in mente un progetto più ampio per far conoscere il disco?

Renato pensa a una chiave teatrale per questo disco. Mi piace che lui possa esserci anche dopo, non solo nella regia ma anche in una dimensione live. L’album ha sicuramente bisogno di qualcosa in più per essere conosciuto e ottenere la giusta risposta. Già da questi incontri in Feltrinelli ho sempre preteso il pianoforte perché mi interessava dare l’impronta del live per dare la dimensione di quello che si sentirà in concerto. Quella è la cosa che più mi è mancata come autore, anche se ero pienamente appagato dalle interpretazioni che ne hanno fatto i grandi artisti a cui sono state affidate. Stiamo costruendo qualcosa di teatrale in modo che sia un’esperienza sia musicale e sia visiva.

Come hai vissuto il primo incontro con il pubblico come cantautore?

L’incontro con il pubblico è stato meraviglioso, molto al di sopra delle aspettative. Ho ereditato una grossa fetta di pubblico sulla fiducia e non era scontato perché si rischiava l’effetto boomerang. Gli annunci sui social erano spesso associati a un ritorno di Renato Zero quindi mi aspettavo un po’ di delusione da parte di chi aspettava una notizia di questo tipo. Vengono, si passano parola dalle varie città e quindi c’è questo zoccolo duro del pubblico di Renato che poi ho iniziato a conoscere durante i concerti con Zerovskij e con loro c’era già un dialogo. Altri vengono dal musical – da Romeo e Giulietta – oppure sono quelli che hanno seguito il mio percorso artistico con Michele Zarrillo. Poi ci sono anche dei nuovissimi, alcuni anche molto giovani, e questo mi fa molto piacere. Questi primi incontri sono stati stimolanti anche per questo, perché sono sempre curioso di vedere la reazione del pubblico. Molti di loro hanno scritto alcune frasi delle mie canzoni sui social. Ho cercato di non fare grossi errori, penso sempre a cosa avrebbero pensato i grandi artisti delle canzoni. L’autocritica mi permette di sbagliare il meno possibile e di essere sincero.

Partiamo dal presupposto che Credo sia un disco perfetto: qual è, secondo te, la sbavatura che lo rende interessante?

Risponde a tutto quello che avrei voluto fare. Mi chiedo se una canzone che ho tenuto fuori potesse essere inserita in questo disco o no e in questo magari posso avvertire un certo squilibrio, anche se Renato mi dice che è perfetto così. Questo mi fa pensare che possa esserci un seguito. Quando mi chiedono cosa mi aspetti da questo disco, io rispondo sempre ‘il secondo’. Spero di aver messo anche qualche semino, come cantautore, poiché da autore passi da uno all’altro con un carico completo. La responsabilità è aumentata ma sono pronto a farmene carico.

Qui di seguito, la tracklist e l’audio di Credo di Vincenzo Incenzo.

Je suis
La mia canzone per te
L’elefante e la farfalla
Prima di qualunque amore
Pensiero unico
Il primo giorno dell’estate
La canzone che sta passando
Cinque giorni (guest Renato Zero)
I nemici dell’amore
L’acrobata
Dal paese reale
Salutami l’amore – intro
Salutami l’amore