La signora dello zoo di Varsavia, tra fiaba e mélo naufraga il film sul nazismo con Jessica Chastain

Il film diretto da Niki Caro racconta la vera storia della coppia di coniugi che durante la guerra nascose nello zoo centinaia di ebrei. Purtroppo non riesce a mai a trovare uno stile credibile. E impallidisce al confronto di capolavori come “Schindler’s List” e “Il Pianista”. Sprecata la Chastain.

La signora dello zoo di Varsavia con Jessica Chastain

INTERAZIONI: 75

Basta la prima sequenza de La signora dello zoo di Varsavia: Antonina (Jessica Chastain) si risveglia nel grande letto dove dorme insieme al piccolo figlio e due leoncini, che bacia teneramente (i leoncini, non il figlio). Poi comincia il giro mattutino nello zoo e volteggia zuccherosa tra un dromedario e un ippopotamo, tutti felici nelle gabbie come fossimo in un mondo di fiaba. Qualunque ipotesi di realismo, a quel punto, va a farsi benedire.

E andrebbe anche bene se fossimo in un fantasy: purtroppo siamo a Varsavia nel 1939, un attimo prima dell’invasione nazista. Che arriva, puntuale, dopo pochissimo, e il film cerca di cambiare drasticamente tono, con i bombardamenti che terrorizzano gli animali che fuggono all’impazzata, riversandosi tra le strade della città, dove all’improvviso può capitare di imbattersi in un ghepardo o una tigre.

La signora dello zoo di Varsavia, diretto da Niki Caro, adattato da un saggio di Diane Ackerman tratto dai diari della protagonista, racconta l’incredibile storia vera dei custodi dello zoo cittadino, Antonina Żabińska e il marito Jan (Johan Heldenbergh), che nel mezzo delle devastazioni della Seconda guerra mondiale mettono a repentaglio la loro vita accogliendo centinaia di ebrei transfughi dal ghetto (alla fine saranno oltre trecento). Un atto di straordinario eroismo per il quale furono riconosciuti “Giusti tra le nazioni” dallo stato di Israele.

La vicenda, quindi, non può che creare rispetto e adesione istintivi. Ma è sbagliato il tono: a partire dal prologo incongruamente favolistico sino alla definizione del personaggio di Antonina, troppo inconsapevole e fuori dal mondo, cui Jessica Chastain – un’attrice notevole e solitamente di espressività forte e dura (ricordiamo solo Zero Dark Thirty) – presta le sue sfumature più estenuate e sognanti. Tutto questo cozza con la durezza dell’assunto, i nazisti, la guerra e la vita degli ebrei nel ghetto, che comunque il film cerca di rappresentare con passabile fedeltà, anche se ovviamente il risultato impallidisce di fronte alla ricostruzione del ghetto de Il pianista di Polanski. Così confezione e scenografie de La signora dello zoo di Varsavia hanno un sapore tanto professionale quanto, al fondo, piatto, standardizzato.

Non va meglio poi con la sottotrama mélo: perché a un certo punto fa la sua apparizione un ufficiale nazista, il capo zoologo del Reich Lutz Heck (Daniel Brühl), che desidera ardentemente Antonina. Allora lei, d’accordo col marito però geloso, asseconda il militare tedesco pur di proteggere gli ebrei. Insomma siamo, curiosamente, tra le parti di Notorius di Hitchcock, in cui l’agente segreto americano Cary Grant per amor di patria getta l’amata Ingrid Bergman tra le braccia del nazista Claude Rains. Con sequenze imperdonabili, come l’accoppiamento tra due bisonti alla presenza di Antonina e Lutz, quest’ultimo tutt’altro che insensibile allo spettacolo.

Resta ben poco, giusto la metafora degli ebrei salvati ma chiusi nelle gabbie dello zoo, che funziona da monito alla follia degli umani, perdenti di fronte agli assai più saggi animali. Ma sballottato tra fiaba, Schindler’s List e turgido melodramma, La signora dello zoo di Varsavia risulta davvero indigesto.