Thor: Ragnarok, il Dio del Tuono in versione demenziale (recensione)

Il figlio di Odino interpretato da Chris Hemsworth diventa parecchio scanzonato nel film di Taika Waititi. Che punta sull’avventura picaresca condita da battute di grana grossa. Cast nutrito, con la cattiva Cate Blanchett, Hulk-Mark Ruffalo e tanti cameo a sorpresa.

Thor: Ragnarok con Chris Hemsworth e Cate Blachett

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Dal cinecomic al cine-comico. Dopo Thor: The Dark World, cupo secondo episodio della saga del figlio di Odino, il Thor: Ragnarok del regista (ma anche comico) neozelandese Taika Waititi vira sul ridanciano, sull’onda di quanto sta già accadendo da un po’ di tempo nell’universo dei cinecomics, si pensi al successo dei Guardiani della galassia, privando l’eroe interpretato da Chris Hemsworth del proverbiale martello – e pure della folta chioma – e lasciandolo solo con i suoi muscoli, una lingua affilata e i modi scanzonati.

Stavolta in Thor: Ragnarok si tratta, tanto per cambiare, di salvare Asgard da un nemico mortale che vuole impossessarsi del regno, una minacciosissima cattiva che risponde al nome di Hela, interpretata con fin troppa enfasi da Cate Blanchett, che oltre alle smisurate, malvagie ambizioni ha anche umanissime ragioni per odiare Odino e i suoi figli. Suoi, al plurale, perché torna della partita anche il fratello di Thor, Loki (Tom Hiddleston), però ambiguo e infingardo come sempre.

La sfida risolutiva contro il nemico giunge alla fine di un itinerario quasi picaresco, perché Thor viene catapultato ai confini dell’universo su di un bizzarro pianeta gestito da un tiranno mellifluo e dai gusti decisamente camp (Jeff Goldblum) che, memore del panem et circenses, tiene buoni i sudditi con spettacoli di lotta nell’arena degni d’un vecchio peplum. E lì Thor si scontrerà col supercampione, che scoprirà essere – nessuno spoiler, è nel trailer del film – nientemeno che Hulk (Mark Ruffalo). Con lui, e un’altra guerriera lì conosciuta, la disillusa Valchiria beona Tessa Thompson (che cammina sempre come se stesse sfilando), forma una piccola squadra di “Revengers”, così li ribattezza Thor, per riconquistare il regno.

Thor: Ragnarok è un’avventura fracassona che spinge sul pedale d’una comicità demenziale di grana piuttosto elementare, con Thor e un Hulk più loquace del solito che giocano a far la coppia da buddy movie, pure con sequenze in costume adamitico col figlio di Odino imbarazzato dalla virilità del gigante verde. Tanti i cameo – non rovineremo la sorpresa – anch’essi in chiave ironica, per dare sostanza a una vicenda molto movimentata ma in sostanza ripetitiva, con uso sovrabbondante di computer graphic – sfumano sempre più i confini col videogame – e un’esplicita propensione all’intrattenimento che non cerca particolari sottigliezze narrative.

Thor: Ragnarok si concede qualche citazione biblica – siamo dalle parti del peplum, appunto – con il popolo di Asgard costretto all’esodo su un ponte che ricorda le acque del mar Rosso. Ed Hela, quando s’impossessa del regno, svela la grande finzione della narrazione ottimista del re Odino, che amava raccontarsi come sovrano benefico e pacifico, mentre il suo potere s’era costruito su una ferocia affamata di conquista. Così Taika Waititi ci ammonisce, ricordandoci il vecchio adagio secondo cui la storia è sempre scritta dai vincitori. E questo, più o meno, è tutto. Ottimo l’inizio al botteghino, con un primo giorno di programmazione da oltre 500mila euro, in un testa a testa col pagliaccio Pennywise di It, che resta per ora l’unico nemico che Thor non è riuscito a sconfiggere.