Nemesi, il ritorno del vecchio leone Walter Hill (recensione)

L’autore di classici come “I guerrieri della notte” e "48 ore" firma una nuova regia. La storia d'una scienziata pazza che sottopone un killer a un’operazione di cambio di sesso. Un film che mette insieme noir, thriller, fumetto, orgogliosamente anacronistico. Per cinefili nostalgici.

Nemesi, il ritorno al cinema di Walter Hill

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Nemesi segna il ritorno al cinema di Walter Hill, uno dei più importanti autori di genere degli anni Settanta-Ottanta, che dopo aver firmato un pugno di titoli di successo (Driver l’imprendibile, I guerrieri della notte, 48 ore) e molto influenti sulle generazione di cineasti a seguire, da John Woo a Quentin Tarantino, ha progressivamente diradato la sua produzione, con poche e trascurabili regie nel nuovo millennio.

Torna, Walter Hill, con un lavoro a basso budget, Nemesi, che sembra quasi provenire da un’altra era. Dipende certo dal fatto che alla base del racconto c’è una sceneggiatura che risale ai tardi anni Settanta, scritta da Denis Hamill, poi passata attraverso varie riscritture cui ha dato il suo apporto lo stesso regista. Ma Nemesi ha il sapore di un’opera fuori tempo massimo per ragioni di stile, di asciuttezza narrativa, per la presenza d’una colonna sonora curata da Giorgio Moroder che pare riesumata da quarant’anni fa, per il racconto scopertamente di genere che mette insieme noir, venature horror, cadenze fumettistiche.

Ha un che di fumettistico la storia di partenza: con il genio della chirurgia plastica Sigourney Weaver che si vendica di Frank (Michelle Rodriguez), il killer a pagamento che le ha ucciso il fratello, sottoponendolo a un’operazione di riassegnazione di genere e trasformandolo in una donna, sia per causargli un enorme trauma, sia sperando oscuramente che il nuovo sesso possa modificarne l’indole. Le cose vanno diversamente: Frank, pur sconvolto dal cambiamento, non muta il proprio atteggiamento, e anzi, medita vendetta, verso il chirurgo e tutti coloro che l’hanno aiutata a compiere il misfatto. Sarà una carneficina.

La Weaver che imbracata dentro una camicia di forza passa da una citazione di Shakespeare a una di Poe fa il verso allo scienziato pazzo modello Hannibal Lecter, mentre Michelle Rodriguez, che nelle prime sequenze da maschio esibisce una barba posticcia e improbabili protesi in digitale per sottolinearne la virilità, fa quel che può per dare credibilità al personaggio. Ma non è sul versante dell’attendibilità psicologica dei caratteri che si può giudicare un film come Nemesi, e in generale il cinema di Walter Hill, maestro di stilizzazione della violenza e laconicità narrativa. Questo film – che parlando di chirurgia plastica rimanda a uno dei capolavori del regista, Johnny il bello con Mickey Rourke, storia di crimine assai più dolente – è destinato a restare come un guilty pleasure per cinefili impenitenti.

Nemesi è un’opera largamente imperfetta, anche per limiti di budget, e però capace di mostrare attraverso i suoi dettagli – i motel pulciosi di cui è pieno il cinema di Hill, le luci virate su tonalità acide, la colonna sonora vintage – l’insostituibile amore per un cinema di genere che, in quelle cadenze, non esiste davvero più. Il ritorno di Walter Hill è nel segno di un cinema perciò ostinatamente anacronistico, non bello, eppure capace di scatenare una sensazione d’insopprimibile nostalgia, che avvince gli ingenui che ancora credono alla magia della sala buia e degli (anti)eroi sullo schermo.