Kingsman – Il cerchio d’oro, il ritorno degli agenti segreti gentiluomini (recensione)

Al cinema il nuovo episodio del franchise sulle impeccabili spie british. Che stavolta se la vedono con i ruspanti colleghi americani, cowboy con cappelloni e frusta. Un blockbuster divertente e fumettistico. Ma lo stile britannico è solo la confezione sotto cui c’è un film di grana grossa.

Kingsman – Il cerchio d’oro, ritornano gli agenti segreti gentiluomini

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Uscita contemporanea mondiale, con notevoli aspettative di botteghino, per Kingsman – Il cerchio d’oro. Dopo Kingsman Secret Service, fortunato capostipite del franchise, ritornano gli agenti segreti gentiluomini, elegantissimi nei loro impeccabili doppiopetti inconfondibilmente british.

Squadra che vince non si cambia, semmai si amplia. Dietro la macchina da presa resta Matthew Vaughn, autore del primo episodio della saga tratta dal fumetto di Mark Millar e Dave Gibbons. E davanti ritroviamo gli stessi protagonisti: Galahad (Taron Egerton), Merlino (Mark Strong), persino l’Harry Hart di Colin Firth, morto nella puntata precedente e risorto con espediente narrativo degno di una soap opera. A loro si aggiunge il team di un’altra agenzia di intelligence, e fanno la loro apparizione, nel lussuoso cast, Halle Berry, Channing Tatum, Jeff Bridges.

La nuova organizzazione entra in gioco perché il nemico di turno, Poppy (Julianne Moore), regina del mercato della droga, ha ambizioni smisurate e distrugge, letteralmente, il quartier generale della Kingsman. A quel punto i sopravvissuti devono giocarsi la carta dell’alleanza con i “cugini” statunitensi della Statesman, che come copertura invece d’una sartoria molto cool hanno, naturalmente, una distilleria di whiskey (rigorosamente con la “e”, perché non è scozzese). Gli agenti americani, da qui dovrebbe derivare uno dei divertimenti maggiori di Kingsman – Il cerchio d’oro, hanno abitudini molto diverse, così i gentiluomini britannici devono confrontarsi con lo stile ruspante dei cowboy del Kentucky, con cappelloni e fruste che sembrano spade jedi. Ovviamente, dopo le prime incomprensioni “culturali”, il gruppo filerà d’amore e d’accordo.

Anche perché, alla fine, la retorica dell’aplomb british è poco più d’una patina, la confezione esteriore d’un racconto disinvolto nel quale non mancano accenti grossolani. Kingsman – Il Cerchio d’Oro, infatti, indugia in dettagli splatter – un tritacarne che la supercattiva da parodia utilizza per sbarazzarsi dei nemici e ricavarne succulenti hamburger – e in battutine divertenti mentre si ammazza qualcuno – un classico dell’action anni Ottanta – che di elegante hanno ben poco. A un certo punto poi, Galahad deve innestare un segnalatore di posizione su un agente nemico, e trattandosi di una donna, deve inserirlo proprio lì, e la gag ha una finezza da film demenziale anni Novanta.

Il tutto viene condito con le coreografie estetizzanti al ralenti dei duelli, siparietti, cameo – compare, ed è probabilmente la cosa più divertente del film, Elton John nel ruolo di se stesso – e il solito gusto delle citazioni e del vintage, soprattutto grazie a Poppy, fanatica degli anni Cinquanta – più precisamente della versione pop anni Settanta degli anni Cinquanta; “Ho nostalgia di Grease, American Graffiti, Happy Days”, dice – che vive murata dentro un universo alla Jack Rabbit Slim’s, il locale kitsch d’epoca di Pulp Fiction.

In aggiunta, per condire il film di temi alti, in Kingsman – Il Cerchio d’Oro ci sono una tirata antipolitica – il presidente degli Stati Uniti è più pericoloso di Poppy – e un endorsement antiproibizionista. E l’amore vince, perché anche gli agenti segreti hanno un cuore e sono degli impenitenti monogami. Questo sì, fa molto vecchio stile.