CHiPs, qualcuno sentiva il bisogno del ritorno di Poncherello? (recensione)

La serie tv originale degli anni Settanta coi poliziotti motociclisti era già brutta di suo. Dunque ci si poteva aspettare ben poco dal remake cinematografico con Dax Shepard e Michael Peña. Che è un buddy movie a base di volgarità e battute sessiste.

CHiPs, recensione del remake della serie tv degli anni Settanta

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Con l’arrivo di un punto bassissimo come CHiPs, uscito ieri, direi che è giunto il momento di dichiarare chiusa la stagione cinematografica e darsi appuntamento nelle sale a dopo Ferragosto, quando arriveranno titoli ben più allettanti, come l’attesissimo Dunkirk di Christopher Nolan (il 31 agosto).

A chi poteva venire in mente l’idea del remake d’una delle serie tv più insulse degli anni Settanta, il mediocrissimo CHiPs? Quello, avete presente, i cui protagonisti erano una coppia di poliziotti motociclisti, uno dei quali con l’improbabile nome di Poncherello e il sorriso smagliante del carneade Erik Estrada (che nel film non resiste alla tentazione del cameo).

Possiamo capire il senso dell’operazione del telefilm originale che, all’uscita nel 1977, sfruttava l’onda lunga di serie di successo come Sulle strade di San Francisco e Sulle strade della California, e proponeva una variante in cui due bellimbusti scorrazzavano per le highway di Los Angeles, ma stavolta – ecco la novità! – su due ruote invece che su quattro. Ma qual è invece la logica di questo film? Non credo basti l’effetto nostalgia (nostalgia di cosa, esattamente?) a giustificarne l’esistenza. Il supposto target di riferimento dei cinquantenni, infatti, non ha risposto entusiasta al richiamo di CHiPs e negli Stati Uniti gli incassi non hanno coperto nemmeno i costi di produzione.

Erik Estrada e Larry Wilcox, gli agenti Poncherello e Baker del “CHiPs” originale degli anni Settanta.

Ma tant’è, ormai la retromania, come l’ha definita Simon Reynolds in un suo fondamentale saggio sulla musica pop, è la regola essenziale dell’industria dell’intrattenimento nel nuovo millennio, tutta rivolta al ripescaggio e alla riproposizione del passato. Da un lato per complesse ragioni di ordine culturale, sociologico e di psicologia collettiva; dall’altro, più banalmente, per sfruttare giacimenti di storie – siano i materiali originari vecchi film, serie tv, fumetti, romanzi, canzoni – e pubblici potenziali già esistenti, e ottenere così il massimo risultato col minimo sforzo.

Hollywood è una macchina che sforna senza sosta prodotti riciclati. Talvolta va di lusso, come col reboot di Batman di Nolan, tanto per ripetere un nome già citato. Più spesso capitano cose come CHiPs, scritto, diretto e interpretato (nientemeno) da Dax Shepard, in compagnia del più noto Michael Peña (che fa Poncherello).

Il remake della serie tv degli anni Settanta è una sequela di grossolanità sessiste, doppi sensi a senso unico, gag omofobe. Ma il problema non è la volgarità in sé: l’autentica trivialità ha una forza espressiva sovversiva, una sua ragion d’essere. È questa volgarità di seconda mano, con gli sghignazzi compiaciuti da riunione di ex compagni di scuola che ridono delle stesse battute liceali di trent’anni prima, a essere intollerabilmente regressiva. Alla fine questo è anche il pregio di CHiPs: non finge nemmeno di dare dignità ai materiali di partenza, che vengono, se possibile, ancora abbassati di livello, rimasticati e restituiti in una forma esteticamente slabbrata e ridanciana, che ne attesta la mediocrità attraverso una messa in scena che punta sul trash spudorato. Ricordandoci di quale sostanza son fatte le cose per cui proviamo nostalgia.