Michael Fassbender è Steve Jobs, stasera in prima tv il biopic su Canale 5

Alle 21.10 su Canale 5 il film sulla vita dell’uomo che ha dato forma al nostro presente. Una biografia non tradizionale, che ritrae Jobs come un enigma. Tanti interrogativi restano insoluti, ma emerge qualcosa del suo carattere. Ottimo Fassbender.

Steve Jobs, stasera in prima tv il biopic con Fassbender

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Steve Jobs, il biopic dedicato al fondatore di Apple, l’uomo più idolatrato e discusso degli ultimi decenni, è stato un flop al botteghino: solo 17 milioni di dollari incasso in Usa, non ripagati nemmeno dalle nomination agli Oscar a Michael Fassbender e Kate Winslet e dai due Golden Globe vinti dall’attrice e dalla sceneggiatura di Aaron Sorkin.

L’insuccesso, come capirà chi lo guarderà stasera nell’attesa prima tv di Canale 5 alle 21.10, si spiega facilmente. Questo film è destinato a lasciare l’amaro in bocca allo spettatore che s’attende una biografia tradizionale. Cosa che non è certamente Steve Jobs, in cui lo sceneggiatore Aaron Sorkin – cui va principalmente ascritto il progetto, più che al regista Danny Boyle – ha seguito la medesima filosofia impiegata per il ritratto di Mark Zuckerberg di The Social Network. Il fondatore della Apple viene raccontato di scorcio, attraverso tre momenti che, per quanto importanti – gli eventi di lancio di tre prodotti, il Macintosh nel 1984, NeXT nel 1988 e l’iMac nel 1998 –, costituiscono soltanto brandelli dell’esistenza di una personalità geniale e controversa.

I tre capitoli sono strutturati col ritmo frenetico del tempo reale, perché ritraggono gli ultimi febbrili preparativi – tutti sanno quanto maniacale fosse Jobs nella definizione di ogni singolo dettaglio degli eventi – prima di andare in scena. Ma, alla fine di ognuno di essi, dopo un bombardamento di sequenze dense e parlatissime, lo spettatore è sottoposto alla frustrazione di non vedere nulla delle famose presentazioni in cui Jobs esibiva le sue doti da ipnotizzatore: perché, dice Sorkin, erano talmente perfette da non contenere elementi di tensione drammaturgicamente fecondi.

Steve Jobs, invece, ha l’ambizione di muoversi proprio tra i vuoti di una biografia che, sebbene arcinota – grazie a eccellenti lavori come il libro di Walter Isaacson –, è piena di lacune e punti interrogativi. Il film ricaccia volutamente tra parentesi la parte spettacolare, e quindi l’immagine pubblica di Jobs, e si interroga sul dietro le quinte, cercando, e non per ragioni sensazionalistiche o voyeristiche, di capire qualcosa di più dell’uomo che, come pochi altri, ha sagomato il nostro presente, il modo in cui viviamo oggi.

Steve Jobs sembra un film che riavvolge continuamente il suo nastro ritornando al punto di partenza. Questo non solo perché i tre capitoli raccontano delle situazioni drammaturgicamente omogenee, ma anche perché, tra una parte e l’altra, ricorrono sostanzialmente gli stessi interlocutori di Jobs: la figlia Lisa, di cui rifiutò a lungo di riconoscere la paternità; il cofondatore Steve Wozniak (Seth Rogen), l’uomo con cui in un garage diede vita al sogno Apple; il membro del team Macintosh Andy Hertzfeld (Michael Stuhlbarg), più umano e protettivo di lui nei confronti di Lisa; il Ceo della prima Apple John Sculley (Jeff Daniels), passato allo storia come colui che cacciò Jobs dall’azienda, prima del trionfale ritorno alla casa madre. A tirare le fila, la direttrice marketing Joanna Hoffman (Kate Winslet), l’unica capace di contenerne l’intrattabilità.

Il risultato è, appunto, un film verbosissimo, ma mai noioso, che però più che rivelare la natura di Steve Jobs sembra girargli intorno, senza riuscire a scalfire la superfice emotiva e psicologica del personaggio, di cui Michael Fassbender offre un’interpretazione notevole, che invece di inseguire uno scontato mimetismo offre una personale lettura del carattere che incarna, sposandone la problematicità invece di scioglierla o semplificarla.

Eppure questo film apparentemente respingente, in realtà, offre una chiave per comprendere l’enigma Steve Jobs, racchiusa nella similitudine tra Apple e il suo creatore. Due sistemi completamente chiusi. Lo spiega con chiarezza il contrasto tra Jobs e Wozniak. Alle origini della storia di Apple il cofondatore mirava a un computer cui gli hobbisti potessero apportare modifiche; Jobs invece desiderava una macchina “end to end”, impossibile da aprire o da mettere in comunicazione con altre tecnologie. Questa, come tutti sanno, è una caratteristica essenziale del Mac, tra l’altro una delle più criticate per la natura quasi totalitaria di un mondo serrato in se stesso che non dialoga con l’esterno.

E le caratteristiche della tecnologia ripetono, in maniera quasi letterale, le peculiarità della psicologia di Jobs che, continuamente sollecitato al confronto, si ostina a opporre un pervicace diniego al riconoscimento dei bisogni altrui. Da un lato perché, da buon imprenditore, la sua filosofia del superamento del limite non può accettare un no alle proprie richieste. Dall’altro perché, da padre anaffettivo (aggiungono Sorkin e Boyle), non riesce ad accettare un ruolo genitoriale che inevitabilmente costringe a misurarsi con la propria fallibilità. E allora di fronte alla figlia che chiede affetto si trincera dietro uno sbrigativo “sono fatto male”.

La chiave di Steve Jobs è tutta nel parallelismo tra uomo e macchina, che si specchiano l’uno nell’altra, con il creatore che riscatta i propri limiti progettando un computer perfetto. Ma inevitabilmente, essendo Steve Jobs un uomo che non dialoga con gli altri, la macchina ideale non può che essere disegnata a sua immagine e somiglianza. È un aspetto che il film esplicita, quando Wozniak ammonisce l’amico dicendogli che “i computer non dovrebbero avere debolezze umane e non voglio costruire questo con le tue”. In un’altra occasione rincara la dose e aggiunge: “I tuoi prodotti sono migliori di te, fratello”. E Jobs, perfettamente consapevole, risponde: “Questa è l’idea, fratello”.

In un certo senso, allora, il segreto della personalità di Steve Jobs è ben chiuso dentro lo chassis del suo Mac: che sfortunatamente non si può aprire, perché il suo inventore l’ha progettato esattamente così, un sistema serrato in se stesso. Il mistero Jobs è destinato a restare insoluto: anche dopo aver visto questo intelligente ed elusivo biopic.

Steve Jobs (2015), di Danny Boyle, con Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Michael Stuhlbarg, Jeff Daniels, stasera in prima tv su Canale 5, ore 21.10.