Addio a Paolo Villaggio, scompare oggi a 84 anni il creatore dell’immortale Fantozzi. La morte è stata annunciata dalla figlia Elisabetta, che ha postato su Facebook una foto col padre giovanissimo, con il commento “Ciao papà ora sei di nuovo libero di volare”. Era ricoverato da giorni al Policlinico Gemelli, per l’aggravamento dei suoi problemi col diabete.
Con Paolo Villaggio, nato a Genova il 30 dicembre del 1932, se ne va uno dei più grandi comici italiani, una delle rarissime maschere prodotte dal nostro cinema popolare. Quella ovviamente, del ragionier Ugo Fantozzi, il piccolo impiegato che dell’italiano medio colpito da improvviso benessere negli anni successivi al boom economico ha offerto un’immagine esatta e paradossale, di indiscutibile verità, col suo servilismo, l’ipocrisia, il desiderio (e l’incapacità) di godersi davvero la vita.
Quella fotografia del mondo impiegatizio nasceva da un’esperienza vissuta sulla propria pelle, perché Paolo Villaggio, che era figlio di un ingegnere siciliano, aveva lavorato all’Italsider. Ma il richiamo dello spettacolo era troppo forte, sebbene poco in linea con le sue origini borghesi. Già negli anni Cinquanta si unisce al gruppo goliardico Bastrocchi di Genova, un’antica compagnia di non professionisti, poi c’è l’esperienza del cabaret, dove viene notato da Maurizio Costanzo, prima a Genova al teatro di piazza Marsala, poi a Roma e, fondamentale, al Derby di Milano, fucina di talenti dove conoscerà anche un altro comico con cui lavorerà diverse volte, Renato Pozzetto, ai tempi in coppia con Cochi Ponzoni.
La grande svolta, dopo l’esperienza nella trasmissione radiofonica Il sabato del villaggio, è l’arrivo in tv, in Rai, nel 1968, con Quelli della domenica. Lì lancia i suoi primi personaggi: l’aggressivo professor Kranz a cui Villaggio, memore evidentemente della mamma insegnante di tedesco, attribuisce un buffo accento simil-teutonico, prestigiatore dai toni autoritari ma al fondo debole e infantile; e poi il timidissimo e sottomesso Giandomenico Fracchia. Ma alla fine a imporsi sono le storielle domenicali dell’impiegato Fantozzi (originariamente Fantocci, perché “era fatto di stracci”).
https://youtu.be/eyQEm0AoOA4
Sull’onda di quella prima intuizione Paolo Villaggio trasforma il personaggio, velocemente diventato Fantozzi, nel protagonista di una serie di racconti pubblicati sull’Europeo, poi raccolti in un volume della Rizzoli di straordinario successo, Fantozzi (oltre un milione di copie vendute). Nascono i personaggi di quella straordinaria saga che è come una grande commedia dell’arte dell’Italia del benessere, con i suoi incredibili tipi fissi: il compagno di disavventure ragionier Filini, la signora Pina e la “mostruosa” figlia Mariangela, la signorina Silvani, sogno erotico proibito del piccolo travet. Di lì il passaggio del personaggio al cinema, nel quale Villaggio aveva avuto già le sue prime esperienze, lavorando con Monicelli in Brancaleone alle crociate (1970, ancora con accento tedesco) e con Vittorio Gassman, che gli fu molto amico, in Senza famiglia, nullatenenti cercano affetto (1972).
I primi due film, Fantozzi e Il secondo tragico Fantozzi (poi ce ne saranno altri otto), diretti da Luciano Salce nel 1975 e 1976, sono di straordinario successo, e assai compatti nel definire i caratteri cinematografici del personaggio, che ha la fisicità di un cartone animato alla Tex Avery, gommoso e indistruttibile, e uno spirito autenticamente tragicomico, che fotografa alla perfezione il mondo impiegatizio dell’Italia di quegli anni (tante volte sono stati citati come riferimenti letterari Gogol’ e Čechov), con il ragionier Fantozzi sempre vittima (ma talvolta capace di ribellarsi) delle megalomanie di capricciosi e onnipotenti megadirettori. Le gag leggendarie sono innumerevoli, su tutte probabilmente quella del cineclub forzato del direttore cinefilo alla fine del quale, dopo l’ennesima proiezione del minaccioso capolavoro La corazzata Potëmkin, il povero Fantozzi, in un sussulto di dignità, prorompe nell’epocale giudizio “è una cagata pazzesca”.
https://youtu.be/f_1UoOPFxfY
Sull’onda di quel successo, e anche per un’industria del cinema italiano non ricchissima di fantasia, Paolo Villaggio ha finito per mettere la sua maschera al servizio di film comici talvolta un po’ troppo simili l’uno all’altro: non solo i tanti Fantozzi, quasi sempre illuminati almeno da qualche guizzo, ma film come Professor Kranz tedesco di Germania, Dottor Jekyll e gentile signora, e poi quel cinema comico più stanco degli anni Ottanta in cui talvolta è protagonista (Bonnie e Clyde all’italiana, Sogni mostruosamente proibiti), e talvolta è messo al servizio del gioco di squadra con altri comici (I pompieri, Scuola di ladri, Grandi magazzini). C’è anche qualche esito più felice, come il dittico insieme a Renato Pozzetto, Le comiche e Le comiche 2 nei quali, riprendendo le gag del cinema muto, Villaggio può indagare le corde più surreali della sua comicità.
Ma è il cinema alto poi a offrigli qualche riconoscimento: La voce della luna (1989) di Federico Fellini, Il segreto del bosco vecchio (1993) di Ermanno Olmi, il ritorno accanto a Mario Monicelli per Cari fottutissimi amici (1994), anche la convincente interpretazione del sadico odontotecnico di Denti (2000) di Gabriele Salvatores. Paolo Villaggio ha anche ottenuto premi importanti, come un Leone d’oro alla carriera nel 1992, il Pardo d’onore al festival di Locarno nel 2000. Negli ultimi anni s’era allontanato dal mondo del cinema ed era tornato alla passione della scrittura, con la rivelativa autobiografia Vita morte e miracoli di un pezzo di merda (2002), ricco di retroscena sulla sua giovinezza e nel quale diventa possibile cogliere il suo carattere complesso e umbratile, non accomodante; o anche titoli come Storia della libertà di pensiero (2008), da cui emerge anche il Villaggio uomo colto e di raffinate letture.
https://youtu.be/1TN6QLURfes
Può restare, a scorrere la sua lunga filmografia (e tutta la sua poliedrica attività, che s’è mossa tra teatro, radio, tv, cinema), come una sensazione, talvolta, di dissipazione d’un enorme talento, di qualche pigrizia legata all’eccessiva ripetizione della formula della sua comicità. Che è la stessa accusa rivolta spessissimo anche a Totò. Ma guarda caso, proprio Totò e Villaggio sono le uniche due vere maschere del cinema italiano, capaci in due epoche storiche diverse di sintetizzare l’antropologia dell’italiano, con i suoi pregi e soprattutto difetti. Chi vorrà studiare, anche nel futuro, l’Italia a cavallo tra boom e crisi economica, per capire non tanto i fatti, ma le sottigliezze psicologiche dell’italiano medio in balìa di sogni, desideri, frustrazioni e paure, non potrà fare a meno di rivolgersi a quel vasto corpus enciclopedico che è il ciclo del ragionier Ugo Fantozzi, nel quale, a futura memoria, si racconta quell’incredibile tragicommedia che è l’Italia.
Grande Paolo… Sei e sarai sempre una Grande persona, non ti dimenticherò mai, la tua goliardia, la tua comicità il tuo “buffo” viso, rimarrà impresso nei cuori di molte persone…
RIP ?