Selma, stasera in prima tv su Rai Tre il film su Martin Luther King (recensione)

Appuntamento alle 21.20 con la pellicola di Ava DuVernay che ricostruisce la marcia di Selma del 1965, momento fondamentale nella battaglia che condusse alla legge sul diritto di voto alle minoranze. Non un’agiografia, ma la storia di un grande uomo alle prese con scelte difficili. Che hanno fatto la storia.

Selma, stasera in prima tv il film su Martin Luther King

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Una prima tv di rilievo stasera su Rai Tre, per dimostrare che il grande cinema non va in vacanza: Selma di Ava DuVernay, primo film di un ciclo estivo che comprenderà titoli di spicco, come Big Eyes di Tim Burton e Whiplash, il film che ha rivelato il talento di Damien Chazelle, il regista definitivamente esploso col musical La La Land.

Si parte dunque con Selma, sulla figura di Martin Luther King che, in linea con una tendenza ormai generale dei film biografici hollywoodiani, non ricostruisce l’intero arco della vita dell’uomo ma pone sotto il microscopio un momento specifico della sua esistenza. Ava DuVernay sceglie il 1965 e la battaglia per il diritto di voto degli uomini di colore: diritto formalmente già riconosciuto dalla legislazione dell’epoca, ma apertamente disatteso per l’impossibilità pratica dei neri di iscriversi alle liste elettorali negli Stati del Sud – dove fortissimi permanevano gli effetti della segregazione e della discriminazione razziale –, dato che i responsabili degli uffici competenti, ovviamente bianchi, trovavano qualunque cavillo pur di impedire la registrazione dei richiedenti.

Selma, in Alabama, era una roccaforte dell’America più retriva: il racconto parte dal rifiuto opposto all’iscrizione di un’aspirante elettrice – non è un volto qualunque, dato che l’interpreta Oprah Winfrey, produttrice del film –, e dalla decisione di Martin Luther King, appena insignito del premio Nobel per la pace, di condurre lì la battaglia del movimento non violento per i diritti civili, certo che la presenza in quel luogo di uno sceriffo di contea propenso alla violenza avrebbe scatenato un aperto conflitto, con ripercussioni positive sull’opinione pubblica.

Ava DuVernay con Selma sottrae la figura di Martin Luther King all’agiografia e la riporta, con enfasi ma anche lucidità, alla sua dimensione storica e alle motivazioni contingenti, in cui l’opportunità politica, che non è cinismo ma necessità strategica, spinge il leader a decisioni discutibili dal punto di vista dell’incolumità dei singoli, ma efficaci sul piano della battaglia in corso. La politica è quell’ambito in cui alle volte si è spinti a optare per delle soluzioni scomode: ed è il genere di dilemma cui si trovò di fronte Martin Luther King, interpretato in maniera vibrante da David Oyelowo, la cui figura quasi perennemente Ava DuVernay scava nell’ombra, ritratta in un crepuscolo che è il segno di quanto pesanti, e controverse, siano le scelte che è obbligato a fare – e la cupezza cromatica del film sembra prefigurarne anche il destino, l’assassinio a soli 39 anni nel 1968.

Con grande cura la regista entra anche nelle dinamiche interne del movimento, mostrandone le diverse anime, la varietà dei punti di vista – di qui la seppur fuggevole comparsa di Malcom X – e anche certe chiusure, come quella relativa al ruolo piuttosto defilato delle donne – fondamentali eppure tenute in secondo piano dalla maschilista comunità di colore, nella quale i discriminati erano quindi a loro volta capaci di forme di pregiudizio.

Selma sposa un punto di vista accettabilmente antiretorico rispetto alla materia narrata, raccontando anche le ambiguità e le irresolutezze del presidente Johnson (un ottimo Tom Wilkinson) – un ritratto accolto con qualche perplessità dalla stampa statunitense –, che tentenna a lungo prima di rispondere alle richieste di giustizia sociale di King, convinto solo dall’ormai insostenibile pressione mediatica e dall’assassinio del pastore bianco James Reeb, che marciò a Selma insieme alla comunità nera.

La marcia di Selma, o per essere più precisi le marce, che furono tre, tra il 7 e il 21 marzo del 1965, furono determinanti nel processo che condusse in pochi mesi il Congresso ad approvare il Voting Rights Act col beneplacito del presidente Johnson, che rese effettivo il diritto di voto delle minoranze. Costituiscono quindi un momento fondamentale della storia americana, come dimostrò anche, pochi mesi dopo l’uscita del film, la partecipazione alla commemorazione del 7 marzo 2015 a Selma dell’allora presidente Barack Obama, che dichiarò che “Il lavoro non è terminato, la marcia non è ancora finita“. Ed è la stessa prospettiva problematica del film, che appena prima dei titoli di coda, dopo aver raccontato dell’approvazione della nuova legge, raggela gli spettatori ricordando loro la figura di Viola Liuzzo, un’attivista bianca che fu uccisa da membri del Ku Klux Klan soltanto cinque ore dopo il discorso di chiusura di Martin Luther King sui gradini del Campidoglio dell’Alabama, il 25 marzo 1965. Questa è una storia che non può concludersi con un lieto fine.

Selma (2014), di Ava DuVernay, con David Oyelowo, Tom Wilkinson, Carmen Ejogo, Tim Roth, stasera in prima tv su rai Tre, ore 21.20.