Nerve, la vita in pericolo ai tempi di internet (recensione)

Un gioco nato in rete spinge i giovani, in cambio di soldi e fama, a prove estreme. Internet è pericoloso? Il film con Emma Roberts e Dave Franco tocca un nodo centrale del dibattito attuale, come dimostra il caso “Blue Whale”. Pur restando nei confini del genere young adult, “Nerve” è tutt’altro che banale.

Nerve, recensione del film con Emma Roberts e Dave Franco

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Poiché Nerve parla di internet e di giovani istigati a prove estreme e autolesioniste, verrà immediatamente collegato al fenomeno del Blue Whale, questo presunto gioco che spingerebbe i ragazzi al suicidio su cui tanto si sta polemizzando ultimamente. In realtà il film diretto da Henry Joost e Ariel Schulman ha tutt’altra origine, è la trasposizione dell’omonimo romanzo di Jeanne Ryan (che è del 2012) ed è in linea con gli interessi dei registi, che s’erano fatti notare con Catfish (2010) – che ha dato origine pure a una serie tv –, documentario sulle false identità sui social network, cui avevano fatto seguire l’horror Paranormal Activity 3.

A suo modo ha delle venature horror anche questo Nerve, per come descrive una realtà, estremizzazione d’un quotidiano non troppo dissimile, in cui l’esistenza è totalmente filtrata da dispositivi tecnologici che esasperano la natura delle relazioni umane, ponendole perennemente a portata di telecamera, al servizio del voyerismo cannibalistico d’una indistinta comunità di osservatori.

Vee (Emma Roberts, figlia di Eric e nipote di Julia) è la classica liceale sensibile e introversa. Sollecitata dall’amica (anche un po’ nemica) del cuore a essere più intraprendente, decide di partecipare a Nerve, gioco illegale in rete che, in cambio di soldi, chiede di sottoporsi a prove via via più difficili. Vee conosce Ian (Dave Franco, fratello di James) e insieme, dato il gradimento degli spettatori, affrontano una serie di sfide pericolose (guidare una moto bendati, camminare lungo una scala sospesa tra due edifici), sempre sotto gli occhi delle videocamere. Diventano istantaneamente le stelle del gioco, accumulando soldi e fama: ma Ian non è stato del tutto sincero con Vee, e intanto, grazie al furto dei loro dati personali, i due diventano ostaggi di Nerve, di questa anonima comunità di spettatori che per divertirsi alza sempre l’asticella del rischio, fino all’estremo.

Nerve è un’avventura tutta in una notte, versione digitale a tratti inquietante d’un viaggio tra le mille luci ingannevoli d’una New York sottoposta allo sguardo implacabile di cellulari e droni, che offrono a un pubblico ingordo di emozioni ad alto voltaggio un intrattenimento possibilmente efferato. E poiché è costantemente mediata da dispositivi che la registrano, digitalizzano, manipolano, la realtà che Vee e Ian attraversano sembra smarrire i suoi connotati concreti per sagomarsi sempre più sui ritmi e le logiche di una finzione altamente spettacolare. Una realtà, insomma, che stinge progressivamente nel virtuale.

I limiti di Nerve stanno nello strizzare troppo l’occhio al pubblico giovanile cui il film è destinato: protagonisti immancabilmente “carini”, schermaglie prevedibili e soprattutto una morale finale consolatoria che rimette in ordine un mondo che, visti i presupposti, pareva invece sul punto di deragliare. Ma la distopia adrenalinica di Joost e Schulman coglie abbastanza nel segno. È un mondo significativamente senza adulti, ormai sostituiti nella loro funzione di educatori da una tecnologia la cui lingua e i cui strumenti sanno usare a malapena.

Lingua e strumenti che sono invece sotto il controllo di giovanissimi che li impiegano per amplificare le pulsioni più aggressive – invidia, odio, fantasie violente –, schiacciati dal bisogno narcisistico di fama, dall’avidità (a ogni prova superata scatta il bonifico), dal mito dell’essere protagonisti (“Sei uno Spettatore o un Giocatore?”, chiede Nerve agli utenti), dal bisogno di accettazione da parte del gruppo. Così il film con Emma Roberts e Dave Franco, pur mantenuto nei confini del genere young adult – ma con una cura formale superiore alla media –, descrive con intelligenza comportamenti e abitudini d’una società integralmente digitalizzata, continuamente sottoposta allo sguardo indagatore di videocamere dietro le quali, ad assistere, viene il sospetto che non ci sia più nemmeno un occhio umano, ma solo un dispositivo meccanico che decide delle nostre vite.