Smetto quando voglio Masterclass, è tornata la banda dei ricercatori

I professori spacciatori stavolta si alleano con la polizia per andare a caccia di smart drugs. La divertente saga di Sydney Sibilia mette insieme commedia all'italiana, action movie americano e logica seriale tv. Infatti dopo Masterclass arriverà la terza puntata, "Ad Honorem".

Smetto quando voglio Masterclass, è tornata la banda dei ricercatori

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Smetto quando voglio Masterclass: è tornata la banda dei ricercatori capitanata dal neurobiologo Pietro Zinni (Edoardo Leo). I geniali nerd “sfruttati malpagati e frustrati” (copyright Rino Gaetano) nel primo film per reagire allo stato di cose s’erano messi a spacciare una droga di loro invenzione. E subito era scattato il processo d’identificazione d’una generazione di giovani sovraqualificati e sottoccupati.

Questa platea, come ha ribadito il regista Sydney Sibilia alla conferenza stampa di Smetto quando voglio Masterclass, aspettava da tempo la comparsa di storie italiane in cui poter immedesimarsi. Non solo sotto il profilo dei contenuti, ma anche dello stile, che cinema e serie tv americane hanno reso ipercinetico e sempre più complesso visivamente e narrativamente. Ed è quello il nutrimento fondamentale del pubblico di oggi, il linguaggio in cui si rispecchia. Ecco l’uovo di colombo di Smetto quando voglio: un racconto contemporaneo dal sapore inequivocabilmente italiano – nell’assunto della storia, nell’apologia dei perdenti modello armata Brancaleone -, però confezionato all’americana, tra cinema di genere, tv e fumetto (la fotografia dai colori acidi).

E dato che principio cardine dello storytelling contemporaneo è la serializzazione, Smetto quando voglio raddoppia. Anzi triplica, perché dopo Masterclass arriverà, forse già a settembre, l’episodio Ad Honorem. Le puntate 2 e 3 sono state girate insieme, segno che l’innovazione è anche produttiva – con relativa economia di scala -, grazie alla Fandango di Domenico Procacci, coadiuvato da Matteo Rovere, attivissimo regista (Veloce come il vento) e produttore di film e webserie.

Torna la banda dei ricercatori, e in Smetto quando voglio Masterclass per ripulirsi la fedina penale s’allea con l’ispettore Coletti (Greta Scarano), trasformandosi in una task force a caccia di smart drugs. Arrivano pure, come fossero supereroi, nuovi membri del team. Ovviamente cervelli in fuga: Marco Bonini, anatomista che fa thai boxe a Bangkok e Giampaolo Morelli, ingegnere trafficante d’armi in Africa. Nonostante l’usuale imbranataggine, il gruppo funziona. Ma si profila il supercattivo Luigi Lo Cascio. E la sfida è rinviata alla prossima puntata.

Il limite maggiore di Smetto quando voglio Masterclass sta nel dipendere troppo dalla saga cui appartiene. Gli sceneggiatori (Sibilia, Francesca Manieri e Luigi Di Capua dei Pills) riannodano con cura Masterclass al primo e al terzo episodio. Ma così il film da un lato ha troppa zavorra (infatti fatica a carburare), dall’altro sembra il prossimamente del successivo Ad Honorem. Nulla contro la serializzazione, ma gli autori, forse troppo innamorati della creatura, si son lasciati prendere la mano. E pure la moltiplicazione dei personaggi non giova, perché finisce per trascurarne parecchi.

Non è il caso di essere severi con Smetto quando voglio, esperimento necessario in un’industria del cinema di cui tutti lamentano l’omologazione al ribasso dell’offerta (vedi la recente débâcle dei moribondi cinepanettoni). Il film ha un’apprezzabile propensione all’action, gag irresistibili (l’inseguimento sui sidecar nazisti), una scrittura non tirata via. Eppure resta il sapore dell’occasione sprecata a metà. L’innesto di modelli statunitensi sulla commedia nostrana è essenziale per costruire un nuovo cinema di genere all’italiana. Ma bisogna riflettere con attenzione su come farlo, per evitare crisi di rigetto.