Smetto quando voglio, stasera in prima tv su RaiTre c’è la banda dei ricercatori

Appuntamento alle 21.15 coi cervelloni che si dànno al crimine, stufi del precariato all'università. Una commedia scatenata, un po' italiana e molto americana. Affiatati gli attori, Edoardo Leo, Stefano Fresi, Pietro Sermonti. Il 2 febbraio esce al cinema il secondo episodio.

Smetto quando voglio stasera in prima tv su RaiTre

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Il 2 febbraio esce al cinema Smetto quando voglio Masterclass e RaiTre lancia la volata con l’appuntamento stasera in prima tv dell’episodio che ha dato vita alla serie ideata e diretta da Sydney Sibilia.

Smetto quando voglio (2014) è un racconto che mescola con intelligente disinvoltura la commedia italiana con uno stile visivo e un ritmo narrativo all’americana. Il film racconta la bizzarra vicenda di un gruppo di ricercatori universitari che, frustrati da anni di precariato, fondano una banda criminale.

La disoccupazione intellettuale è un argomento di grande d’attualità. Ma Smetto quando voglio non ha velleità sociologiche: lo spunto gli serve come trampolino per innescare un meccanismo narrativo ad orologeria che gioca felicemente coi generi. Prima tappa, presentazione della banda. Il passo, ruffiano e gaglioffo, è alla Ocean’s Eleven. Però in salsa nostrana: così il gruppo, composto da genialoidi però velleitari, è la più tipica delle armate Brancaleone all’italiana.

C’è Pietro (Edoardo Leo), neurobiologo la cui carriera accademica è giunta al capolinea; Alberto (Stefano Fresi), chimico che fa il lavapiatti al ristorante; un antropologo costretto a spacciarsi per coatto pur di trovare lavoro (Pietro Sermonti, cialtrone come in Boris); un economista (Libero De Rienzo) col vizietto del poker, latinisti benzinai, archeologi alla canna del gas.

Si mettono a spacciare una droga sintetica di loro invenzione, con risultati eccezionali. Ma a un gruppo di sfigati che nella vita ha sempre perso il successo dà alla testa. Smetto quando voglio ha un ritmo allucinato, come le smart drugs di cui parla, come se sotto amfetamine fosse tutto il film. Che quindi ha i colori acidi da trip andato a male, freez frames, time lapse, l’intero armamentario da racconto survoltato e ipercinetico (che è pure un limite, perché sono tutti effetti visivi modaioli e stranoti).

Peccati veniali, perché la sceneggiatura funziona, l’intrattenimento è intelligente e le tipizzazioni efficaci. Quelle maschili. La scrittura dei personaggi femminili invece latita dato che, prostitute a parte, c’è solo Valeria Solarino obbligata a fare la fidanzata lagnosa.

Smetto quando voglio ha anticipato una tendenza poi emersa più chiaramente dopo, con film che hanno dimostrato l’esistenza d’una generazione di trenta-quarantenni capaci di misurarsi coi generi meno frequentati dal cinema italiano. Il supereroistico di Lo chiamavano Jeeg Robot, l’automobilismo di Veloce come il vento, l’heist movie del film di Sydney Sibilia. Che punta anche sulla serializzazione, col secondo e terzo episodio girati contemporaneamentee, cosa inedita per il cinema italiano.

Il versante produttivo è l’altro elemento degno di nota di Smetto quando voglio: un’idea coltivata dalla dinamica Fandango di Domenico Procacci, coadiuvato dalla Ascent di Matteo Rovere, talento multitasking da tenere d’occhio, 35 anni, quattro regie (anche Veloce come il vento), sceneggiatore, produttore di cinema e webserie (Pills). Insomma, anche sui nostri lidi s’affacciano figure di nuovi creativi, e inediti modelli narrativi e produttivi. Di cui Smetto quando voglio costituisce certamente una punta di diamante. Quindi appuntamento stasera su RaiTre alle 21.15 con la prima tv del prototipo, nell’attesa di vedere al cinema la Masterclass.