Più Ficarra e Picone, meno Siani. Se il box office può insegnarci qualcosa

L'ora legale ha incassato 4 milioni nella prima settimana. Nell'ultimo anno il botteghino premia solo commedie di costume che sanno di realtà. Mentre vanno malissimo i cinepanettoni. E le fiabe alla Siani, che pure resistono, incassano meno di un tempo. Forse il pubblico sta cambiando. E il cinema italiano dovrebbe rendersene conto.

Il successo de L'ora legale di Ficarra e Picone

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Il botteghino decreta il successo de L’ora legale di Ficarra e Picone, Nel primo weekend di programmazione il film ha incassato 3 milioni e 250mila euro (e ormai ha superato i 4 totali). Un dato, sottolinea l’Ansa, che non si registrava dai tempi di Perfetti sconosciuti. Suggerisce qualcosa questo risultato? Il quale, non dimentichiamolo, giunge in un momento complesso per il cinema italiano, disperatamente alla ricerca di soluzioni a una crisi divenuta allarmante.

Il cinema italiano: i numeri del 2016

In verità, stando ai dati degli incassi, da poco resi noti da Cinetel, il cinema italiano godrebbe di buona salute. Nel 2016 è stato superato il fatidico giro di boa dei 100 milioni di biglietti venduti (105 per la precisione). Ma se analizziamo più nel dettaglio quel numero, c’è poco da gioire. In primo luogo il nostro mercato è strutturalmente asfittico: basti pensare che qui si staccano la metà dei biglietti dei cugini francesi, e che ce la giochiamo quasi alla pari con la Spagna, che ha però 14 milioni di abitanti in meno (per approfondire, vedi il Global report di Variety).

Secondo elemento: su quel dato pesano i 65 milioni di euro e 9 milioni di spettatori del Quo vado? di Checco Zalone, che da solo fa quasi il 9% dell’intero fatturato del 2016. Togli lui – più Perfetti sconosciuti, 17 milioni – e crolla il castello di carte del cinema del Belpaese.

Dietro le spalle del gigante Zalone si profila uno scenario traballante. Da settembre 2016 in poi è stata una débacle, neanche un film italiano tra i primi dieci incassi dell’autunno. A Natale, il de profundis: calo del 38% degli incassi rispetto all’anno precedente, con programmazione isterica di cinepanettoni che hanno fatto uno peggio dell’altro, anche per colpa dell’enorme omogeneità (al ribasso) dell’offerta.

Il primo gennaio è uscita la corazzata Mister Felicità di Alessandro Siani. Quasi due milioni d’incasso il primo giorno. E tutti a tirare un sospiro di sollievo, e occultare polvere e problemi sotto il tappeto. Però i conti vanno fatti alla fine. E i conti dicono che la favola del comico napoletano ha incassato una cifra intorno ai 10 milioni. Un risultato certamente straordinario. Ma è pur sempre di 5 milioni inferiore ai precedenti exploit di Alessandro Siani. Un terzo in meno. Sarà anche questo un campanello d’allarme o no?

Nel frattempo s’è insediato il nuovo presidente dell’Anica, una figura di prestigio come Francesco Rutelli (ma può un politico di lungo corso dare segnali di discontinuità?). E soprattutto è stata varata la legge per il cinema e l’audiovisivo, anche se il ritornello è che per valutarne l’efficacia bisognerà attendere i decreti attuativi. E quindi la norma per ora resta un oggetto abbastanza misterioso. Tra le soluzioni per i problemi del nostro cinema la più gettonata, l’ha detto anche Rutelli, è “destagionalizzazione”. Mettendo fine a quella lunghissima estate senza titoli appetibili perché, si dice, “la gente d’estate non va a cinema”. Eppure nel 2016 uno dei titoli top ten tra gli incassi è stato Suicide Squad, che io personalmente ho visto il 13 agosto in una sala cittadina occupata in ogni ordine di posti. Forse il luogo comune non è proprio vero.

Da un lato quindi ci sono le strategie legate alla programmazione. Ma poi c’è una questione di idee, ossia del tipo di cinema che si intende proporre in sala. Ed ecco che torniamo a L’ora legale.

Cosa ci insegna il successo di Ficarra e Picone?

Da che cosa dipende il successo de L’ora legale di Ficarra e Picone? Impossibile indicare una ragione singola. Però credo che, banalmente, uno dei maggiori punti di forza stia nella sua volontà di parlare con una certa franchezza della realtà, ovviamente deformata attraverso uno sguardo esilarante. La storia del sindaco integerrimo in una cittadina siciliana non avvezza alla legalità è ben ancorata a un contesto verosimile, a misura d’uomo, nel quale sono riconoscibili usi, costumi, modi di fare e disfare degli italiani di oggi. Onesti a parole, meno quando si tocca il loro “particulare”.

Ficarra e Picone sono andati a ripetizione da Checco Zalone: ne L’ora legale hanno infilato persino una canzone politica sulla democrazia, sull’esempio dell’inarrivabile La Prima Repubblica di Quo vado?. Però hanno saputo riadattare il prototipo al loro stile. E soprattutto, qui sta il loro merito maggiore, si sono tenuti alla larga dai classici film dei comici-comici, nei quali di solito la macchina da presa è sempre asfitticamente puntata sul protagonista di turno.

Ficarra e Picone invece non fagocitano il film. Perché vogliono raccontare abitudini e modi di essere collettivi. E l’unico modo per farlo è allargare lo sguardo e descrivere un’intera comunità. Che infatti è la vera protagonista della vicenda. Così vediamo sfilare il prete (tratteggiato in modo abbastanza atroce), politici intrallazzatori, vigili urbani riottosi a fare multe, impiegati pubblici perdigiorno, almeno qualche giovane di belle speranze.

Il risultato non è il solito presepe di figurine innocue alla Siani, la melassa buonista e inoffensiva di una cornice che non rimanda volutamente mai a un mondo riconoscibile. Ne L’ora legale invece della favola c’è la descrizione, arricchita di accenti paradossali, di un contesto umano verosimile. Un microcosmo che rimanda al paese Italia e alle sue storture, velleità, ipocrisie. Ne esce un film che, sotto il tono ridanciano, ha persino qualche ambizione da trattatello morale sul carattere degli italiani.

A Ficarra e Picone riesce il passaggio dal film dei comici-comici a una più adulta commedia di costume che guarda all’apologo. E per chiarire la prospettiva il duo osa addirittura un inedito – per una pellicola comica – finale amaro, come fossimo in una commedia all’italiana d’altri tempi.

Per dare solidità all’idea, Ficarra e Picone hanno coinvolto sceneggiatori come Nicola Guaglianone (Lo chiamavano Jeeg Robot) ed Edoardo De Angelis, anche ottimo cineasta di suo (il notevole Indivisibili). Il peso dello script fa la differenza, consentendo ai comici siciliani anche un deciso passo in avanti rispetto al più esile Andiamo a quel paese, che partiva da un tema sociale riconoscibile, la disoccupazione giovanile, ma poi s’esauriva, per mancanza di idee, in una commedia che girava nel vuoto di troppe citazioni e soluzioni facili, come l’immancabile sottotrama sentimentale.

Stavolta hanno costruito una sceneggiatura più strutturata – certo, non sempre perfetta – in cui l’osservazione della realtà non è solo pretesto di partenza (cosa che accade spesso, penso a un film come Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, nel quale il fenomeno della disoccupazione intellettuale serve solo come spunto per mettere in moto un meccanismo narrativo all’americana, obbiettivamente spigliato e divertente, che però col contesto sociale ha relazioni assai vaghe). L’attenzione alla scrittura era uno dei segreti della commedia all’italiana, che nasceva dalla collaborazione di un gruppo di registi, scrittori e volti e corpi d’attori capaci di incarnare storie inequivocabilmente italiane. E all’architettura narrativa sono attenti anche Checco Zalone e il sodale Gennaro Nunziante, che dedicano moto tempo ad auscultare la realtà da sottoporre alla deformazione satirica (discorso simile si potrebbe fare per Maccio Capatonda, altro narratore di atroci, credibilissimi italiani medi).

Insomma da un lato abbiamo cinepanettoni ormai disertati e film alla Siani, da cui il pubblico sembra progressivamente allontanarsi, forse perché stanco di un cinema estenuato, infarcito di stereotipi e perciò irriconoscibile, lontanissimo dalla loro esperienza quotidiana. Dall’altro, ci sono i pochi film che hanno ottenuto un successo tangibile nell’ultima stagione, come Quo vado?, Perfetti sconosciuti, e adesso L’ora legale. Che invece puntano sul rispecchiamento dello spettatore. E pazienza se l’immagine che questi film restituiscono degli italiani è sgradevole. Il pubblico è assolutamente capace di reggere l’urto di film più cattivi, che invece di allisciargli il pelo lo mettono – almeno un po’ – in discussione.

Gli spettatori sono quasi sempre più adulti di come se li figurano certi timidissimi autori e soprattutto produttori italiani. Ficarra e Picone l’hanno capito: e ne guadagnano in qualità e incassi. Invece il nostro cinema comicarolo, ipersentimentale e buonista, continua ad ammannirci storielline timorose e timorate, e si guarda bene dal dire qualcosa sul paese reale nel quale tutti ci muoviamo. E così, stando anche ai numeri, è destinato a perdere. E con lui tutta l’industria del cinema italiano (o quel che ne resta).

https://youtu.be/4eUnP9fftP4