Miss Peregrine, nella casa dei ragazzi speciali Tim Burton ritrova l’ispirazione

Un adolescente si mette sulle tracce delle storie che gli raccontava il nonno, per capire se fossero vere o inventate. E scopre un mondo fantastico. Tratto dal bestseller di Ransom Riggs, "Miss Peregrine" è un racconto fantasy ideale per le corde di Tim Burton.

Miss Peregrine, Tim Burton nella casa dei ragazzi speciali

INTERAZIONI: 61

Nella settimana più calda dell’anno al botteghino, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali di Tim Burton s’è fatto spazio tra l’irraggiungibile Rogue One e il plotone dei cinepanettoni, sonoramente battuti con un milione d’incasso nel weekend. È una sorpresa meritata: il film tratto dal bestseller omonimo di Ransom Riggs è il migliore tra quelli recenti del regista americano.

Miss Peregrine offre una storia in linea con le predilezioni di Tim Burton. Jacob (l’Asa Butterfield di Hugo Cabret) è un’adolescente sensibile, poco capito da genitori piuttosto anaffettivi e invece in perfetta sintonia col nonno Abraham (Terence Stamp), narratore inesauribile di storie non si sa quanto vere quanto fantastiche sulla sua gioventù. Quando, per sfuggire alla guerra, riparò nel 1943 su un’isoletta al largo del Galles, nell’orfanotrofio di miss Peregrine, che accoglieva ragazzi dai poteri speciali.

La morte in circostanze misteriose del nonno spinge Abe a mettersi sulle tracce di quei bizzarri racconti. Scopre che l’orfanotrofio venne distrutto dai bombardamenti nel 1943. Ma trova l’accesso a un mondo parallelo in cui la casa dei ragazzi speciali esiste ancora. Un luogo al riparo dello spazio e del tempo, in cui la distruzione dell’istituto è scongiurata da miss Peregrine (Eva Green, versione dark e sensuale di Mary Poppins), che ha il potere di riavvolgere il nastro degli avvenimenti, facendo perennemente rivivere ai ragazzi speciali l’ultimo giorno prima della fine. Ma quel luogo magico che promette eternità è mira di creature speciali e cattive (guidate da un Samuel L. Jackson orrifico), e scoppia un conflitto in cui Abe viene coinvolto.

Miss Peregrine è ideale per le corde di Tim Burton, che ne rispetta la sostanza, ma lo modella secondo le proprie predilezioni. I ragazzi dai poteri straordinari sono al fondo ingenui e indifesi come Edward mani di forbice. E dietro quei racconti tra realtà e immaginazione di nonno Abraham si profila il narratore per eccellenza del cinema di Tim Burton, l’Albert Finney di Big Fish, affabulatore e manipolatore di mondi la cui verità sta nell’adesione strenua che si ripone nei sogni.

Abe attraversa una soglia che è il suo specchio di Alice e trova un mondo capovolto di bambini invisibili e ragazzine che s’ancorano alla terra per non volare via. Un mondo di suoi simili, in cui si sente riconosciuto e accettato. Per il quale vale la pena lottare, e crescere. Così la guerra contro le forze del male di Miss Peregrine diventa la scoperta metafora del conflitto di Abe – e di ogni adolescente – con se stesso. È anche la parte in cui Burton s’affida più alla professionalità – e alla meccanicità – degli effetti speciali, col rischio di far assomigliare il film a un fantasy come tanti altri. Ma nella casa dei ragazzi speciali Tim Burton ritrova l’ispirazione e la sua firma in Miss Peregrine è riconoscibile: nelle notazioni sottili dedicate al rapporto tra Abe e suo padre, nella malinconica impressione di fragilità che circonda i ragazzi speciali, nel dispiegamento di un immaginario che rivendica la sua artigianalità (l’episodio della battaglia tra pupazzi girata a passo uno).