Visto il Natale affollatissimo di cinepanettoni, Carlo ed Enrico Vanzina giocano d’anticipo ed escono a novembre con Non si ruba a casa dei ladri. Anche perché, sebbene il genere l’abbiano tenuto a battesimo, stavolta la pellicola dei Vanzina col Natale c’entra poco, guardando dichiaratamente alla commedia all’italiana e a Dino Risi in particolare.
Antonio (Vincenzo Salemme) è un imprenditore del settore delle pulizie che perde un appalto, andato per corrotti magheggi a un’altra ditta, e finisce sul lastrico. Costretto a ripartire da zero, trova con la moglie Daniela (Stefania Rocca) lavoro come maggiordomo in casa di Simone (Massimo Ghini), faccendiere romano con villone d’ordinanza e bellissima cafona al fianco (Manuela Arcuri). Antonio scopre che Simone, legato a un politico corrotto, ha pilotato l’appalto che l’ha fatto fallire. A quel punto scatta la vendetta, con un piano escogitato per sottrargli il patrimonio che condurrà tutti i personaggi nel luogo dove, da tradizione, finiscono i soldi: la Svizzera.
Non si ruba a casa dei ladri s’avvale d’una confezione più attenta della media dei film dei Vanzina, che innestano il genere molto americano dell’heist movie (il modello, citato, è American Hustle) sulla commedia italiana di riconoscibilissima romanità. Romano, naturalmente, è quel mondo di corrotti e corruttori esemplato sull’attualità di Mafia Capitale, con intrallazzi legati alla gestione dei rifiuti e una festa burinissima in costume da antichi romani che rimanda ovviamente a Batman-Fiorito e toga-party d’infausta memoria.
Nelle interviste Carlo Vanzina ha citato i suoi riferimenti: Massimo Ghini vestito da centurione come Vittorio Gassman ne In nome del popolo italiano (e il pranzo di Ghini e Salemme sul litorale laziale ricorda quello di Gassman e Tognazzi dello stesso film), La congiuntura quando Gassman porta i soldi a Lugano, il finale amaro alla Scola. Modelli impervi, certamente, di cui i Vanzina, più superficialmente e qualunquisticamente ridanciani, non posseggono la lucidità. Però, anche per l’affetto sincero verso quel cinema, Non si ruba a casa dei ladri cerca e in parte trova un tono di commedia agrodolce più controllato.
Per una volta il ritratto degli arraffoni arricchiti non è all’insegna dell’esaltazione: forse il Simone di Massimo Ghini percepisce qualcosa di stonato nella sua condizione di privilegio e i suoi languori sentimentali ricordando il padre integerrimo sindacalista danno un tono credibile alla natura velleitaria del personaggio. E quando Antonio e Daniela, per truffarli, si travestono da Simone e signora, l’accentuazione dei loro tratti più grossolani è di significato inequivocabile.
Non si ruba a casa dei ladri ha pregi e difetti, tra caratterizzazioni azzeccate (Maurizio Mattioli, con un paio di monologhi pro e contro la romanità, tra Proietti e Remo Remotti), il solito eccesso di battute dialettali e una scrittura che, raccontando una stangata, dovrebbe osare un’architettura narrativa più articolata. I Vanzina fanno vincere i buoni, però guardano con indulgenza, ma senza ammirazione, ai cattivi. E nel personaggio di Ghini vogliono instillare un elemento che appartiene geneticamente alla vera commedia all’italiana: la paura mista a consapevolezza dell’italiano di essere, al fondo, soltanto un cialtrone.