Inferno, con Dante e Tom Hanks una spy story dal volto umano

Terzo episodio della saga del professore di simbologia inventato da Dan Brown. Non intrighi vaticani stavolta, ma la questione della sovrappopolazione mondiale. Che un miliardario fanatico vorrebbe risolvere decimando l’umanità. Un film di spionaggio dal tono più intimista della media, che fa leva sull’aria da everyman di Tom Hanks.

Inferno Tom Hanks

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Dopo l’anteprima a Firenze con guest star il presidente del Consiglio Renzi, e l’ospitata appena ieri del protagonista Tom Hanks alla Festa del cinema di Roma, dove ha dispensato la sua affabile e intelligente simpatia da everyman, arriva al cinema Inferno, terzo episodio della saga del professore di simbologia di Harvard Robert Langdon, inventato da Dan Brown nella fortunatissima serie di bestseller inaugurata da Angeli e demoni.

Anche stavolta al timone c’è Ron Howard, ma cambia lo scenario: si esce dalle stanze degli intrighi vaticani per una spy story con al centro l’allarmante questione della sovrappopolazione mondiale. Un problema che il bioingegnere miliardario Zobrist (Ben Foster) – uno di quei nuovi padroni del mondo arricchitosi grazie alla rivoluzione tecnologico-informatica, giovane, affascinante e dotato di una “visione” per il futuro, (il modello pare Elon Musk, l’imprenditore che vuole portarci su Marte) – intende risolvere scatenando un agente patogeno che decimerebbe l’umanità per salvare la Terra. Ma Zobrist muore nelle primissime scene di Inferno: così parte il conto alla rovescia per capire se e come il virus letale verrà diffuso.

Cosa c’entra il professor Langdon? Non lo sa nemmeno lui. Langdon si sveglia malconcio in un letto d’ospedale che scopre, inspiegabilmente, essere a Firenze. Ha strane allucinazioni da inferno dantesco, fatte di fiumi di sangue e teste ritorte. E qualcuno cerca subito di ucciderlo. Lo salva la dottoressa Brooks (Felicity Jones), con la quale fugge. Insieme, una traccia dopo l’altra, cercano di ricostruire il puzzle di un doppio enigma.

Perché in Inferno da un lato c’è il conto alla rovescia per la salvezza del mondo, che può essere ottenuta solo decrittando simbologie e indizi disseminati nelle opere dell’arte e della letteratura medievali e rinascimentali tra Botticelli, Giorgio Vasari, Dante Alighieri, e Firenze, Venezia, Istanbul.

Dall’altro c’è il rompicapo che s’annida nella mente di Langdon: un uomo di eccezionali capacità intellettuali sulle quali, per una volta, non può fare pienamente affidamento, perché ha perduto la memoria ed è preda di visioni. Non è sicuro dei suoi ricordi, improvvisamente labili e incerti. E nemmeno dell’identità della girandola di persone che gli ruotano intorno, che potrebbero essere sia buoni che cattivi: anche la vecchia amica (Sisde Babett Knudsen) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, persino l’agente col volto rassicurante di Omar Sy.

È questo l’aspetto migliore di Inferno, che regala al racconto una fragilità che fa deviare il film dall’usuale action adrenalinico, arricchendolo di un tono più intimistico, meditato, che ben s’accorda col personaggio di Langdon, che Hanks definisce coi tratti, canonizzati da tante interpretazioni, dell’uomo che resta giusto e retto in un mondo impazzito. Inferno mantiene questa nota sino in fondo, mettendo in primo piano non agenti segreti letali e muscolari, ma donne e uomini maturi, che sanno fare leva sulla forza dei sentimenti. Così Inferno trova una nota più calorosa e umana, che lo distingue accettabilmente dai film di spionaggio cui per molti versi somiglia. Imperdonabile, però, il product placement d’una compagnia di trasporti, talmente sfacciato da sconfinare nella pubblicità pura e semplice.