«Oggi non c’è satira perché non si può fare. La satira non è morta, è una viltà quando lo dicono i giornali. Non te la fanno fare, non ti danno la possibilità di farla». Non utilizza mezzi termini, come nel suo stile Sabina Guzzanti al Giffoni Film Festival nell’incontro con i ragazzi del Dream Team. L’attrice e regista ha incontrato i giurati per una masterclass che ha dato numerosi spunti di riflessione e che si è focalizzata maggiormente sul suo ultimo film, “La trattativa”, e in generale sul ruolo della satira in Italia oggi. Partendo dal periodo storico che viviamo oggi, la Guzzanti riconduce tutto agli anni ottanta, vero spartiacque culturale italiano ed internazionale.
«Gli anni 80 cambiano il modo di fare cultura. La cultura diventa commerciale, chi fa cultura è un operatore commerciale. L’ideologia neoliberista è un’ideologia perché è un sistema di pensiero che condiziona relazioni, memoria, desiderio che fa diventare tutto un’impresa – fino ad arrivare ai giorni nostri – Pensate all’amicizia su Facebook. Chiamiamo amicizia qualcosa che in realtà non lo è. Aggiungiamo una persona che riteniamo utile per un fine qualsiasi facendolo come una sorta di investimento per l’impresa che siamo noi stessi». Secondo l’attrice, c’è un solo motivo per cui la televisione come veniva fatta dalla generazione di cui lei faceva parte finisce. «La televisione che facevamo noi finisce perché c’è la censura. Censura che cambia il modo di pensare della gente. Dagli Stati Uniti all’Europa».
Un processo culturale che lei in qualche modo ha provato sempre a contrastare con il suo successivo lavoro di regista di cui “La trattativa” è probabilmente la pellicola meglio riuscita ma che ha subito non poche pressioni per il tema trattato. «Il tema della trattativa è quello che dà più fastidio. Il film ha subito delle pressioni anche a livello internazionale. Anche all’estero non è uscito nemmeno un articolo. Dà fastidio perché mette insieme dei fatti storici indiscutibili. C’è stata una chiusura totale della stampa e della tv nonostante i 15 minuti di applausi a Venezia». Non sono mancate le domande dettagliate dei ragazzi che si sono soffermati su due personaggi raccontati dalla Guzzanti: il procuratore Giancarlo Caselli e Silvio Berlusconi.
«La trattativa ha una parte di ricostruzione e una di finzione. Non sono come le cose che fa Santoro nonostante lui lo sostenga. La parte di ricostruzione è tutta giocata su un sottile umorismo. È il tono del film che non riguarda solo Giancarlo Caselli. La questione è che lui è abituato ad essere raccontato come un eroe ma in questo caso si raccontano due episodi della sua carriera mai raccontati e molto imbarazzanti e gravi. Il primo, che non si sia perquisito il covo di Riina che forse avrebbe permesso di sconfiggere la mafia e le connivenze. E il secondo che riguarda l’opportunità di avere la collaborazione di Luigi Ilardo, che avrebbe potuto dare un colpo definitivo a Cosa Nostra oltre che permettere la cattura di Provenzano. Quando poi ha reagito in quel modo mi ha sconvolta perché è l’interpretazione più benevola che potesse avere. Credo che a lui abbia dato fastidio che l’episodio venisse fuori».
Fino ad arrivare e concludere con Berlusconi, personaggio che ha segnato la sua carriera. «Tutta sta passione per Berlusconi non la capisco. La prima volta che l’ho incontrato avevo 22 anni, non pensate male, e aveva censurato un programma di Antonio Ricci ma voleva comunque dare una possibilità a quattro artisti che ne facevano parte e ci invitò ad Arcore. Allora non era ancora un politico ma sembrava l’imprenditore illuminato che aveva rivoluzionato la tv italiana e aperto nuovi spazi. Dal primo momento che l’ho visto è stata una delusione. L’ho subito trovato volgare e manipolatore e da lì non mi è mai piaciuto. L’ho sempre considerato anti-democratico. L’ho percepito sempre come un pericolo. Sono felice di aver contribuito anche in minima parte alla sua caduta».