A Giffoni 2016 Marco D’Amore racconta il suo film sulla tragedia dell’Eternit

Il popolare attore di “Gomorra” e il regista Francesco Ghiaccio parlano di “Un posto sicuro”, un film che racconta il dramma dei tumori causati dall’amianto a Casale Monferrato. Nessuno lo voleva produrre, ma l’ostinazione di D’Amore e Ghiaccio ha avuto la meglio.

Giffoni Film Festival Marco D'Amore racconta Un posto sicuro

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È difficile fare certi film ragazzi, non ce li lasciano fare”: la dice in napoletano questa frase Marco D’Amore durante la Masterclass con i ragazzi del Giffoni Film festival, in cui presenta insieme al regista Francesco Ghiaccio il film Un posto sicuro.

Un’affermazione che non è un segno di frustrazione, ma dell’enorme impegno che l’attore (anche sceneggiatore) e il regista, amici dai tempi della scuola di teatro Paolo Grassi, hanno profuso in un progetto a loro carissimo. Un posto sicuro racconta la tragedia delle morti per tumori causati dalle polveri di amianto dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato, che è stato anche condannato per “disastro ambientale doloso permanente”.

Il film ricostruisce questa vicenda filtrandola attraverso la storia di Luca (D’Amore), un giovane attore che è finito a fare il pagliaccio alle feste e il padre Eduardo, interpretato da Giorgio Colangeli, un vecchio operaio che scopre di essere malato di tumore. Così Un posto sicuro diventa la storia di un rapporto difficile tra un padre e un figlio che non si parlano da tempo, in cui la malattia costituisce il tramite che consente il loro pudico riavvicinamento, e l’elemento che spinge Luca a riscoprire la sua vocazione d’attore.

Abbiamo condotto un’indagine di un anno e mezzo con i familiari delle vittime”, ricorda Marco D’Amore. Perché l’obiettivo era assorbire la forza di verità di una vicenda che ha inciso in maniera indelebile sulla comunità di Casale Monferrato, di cui è originario il regista. “Abbiamo voluto tenere un piede nella verità e uno nella finzione – ha detto Francesco Ghiaccio –, tenendo in equilibrio documentario e fiction. Però senza fare un documentario puro, che sarebbe sfociato in un racconto solo sull’amianto, mentre noi volevamo far emergere le storie e le emozioni dei personaggi, in cui si riflettono le storie vere delle persone”.

Un posto sicuro ha affrontato e tuttora affronta non poche difficoltà per raggiungere le sale cinematografiche. “Abbiamo incontrato solo detrattori sulla nostra strada che ci hanno contestato l’idea del film – ha aggiunto D’Amore –, raccontandoci che questo è un paese che non vuole sentirsi dire delle proprie miserie, ma che ha la sola necessità di andare a cinema o a teatro o a leggere un libro per svagarsi. A un certo punto abbiamo persino pensato di farlo con due telefonini questo film. Siamo ai margini della filiera produttiva, perché non facciamo fare i soldi. E per questo siamo usciti in 20 sale”.

Come ha ribadito Ghiaccio, “non abbiamo pensato alle leggi del mercato, siamo andati per la nostra strada, perché eravamo convinti che le storie piene di dignità di queste persone andassero raccontate. Per questo alla fine, si crea un vero effetto di immedesimazione e catarsi”.

Nelle domande dei ragazzi si riflette la stessa passione degli autori: qualcuno lo definisce un film proletario, che racconta, come accade molto raramente nel cinema contemporaneo, di fabbriche e operai, come fossimo in un film di Ken Loach, un nome che lo stesso Ghiaccio ricorda. Ma è anche, aggiunge Marco D’Amore, “un film laico, che parla della morte con coraggio e senza pietismi. Nel quale c’è anche un altro protagonista taciuto, il teatro. Non è un caso che i nomi dei due personaggi principali siano Luca ed Eduardo”.