Tutti vogliono qualcosa: la nostalgia secondo Richard Linklater

Ambientato nei “favolosi” anni Ottanta, il film racconta un weekend nella vita d'una matricola del college. Ci sono gli ingredienti tipici del filone universitario: goliardia, bevute, cameratismo. Ma lo sguardo è meno euforico e più esistenziale. Un film intelligente sul tempo e la nostalgia.

Tutti vogliono qualcosa la nostalgia secondo Linklater

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Dopo Boyhood, racconto di 12 anni (reali) nella vita d’un ragazzo dall’infanzia alla maggiore età, Richard Linklater comprime il tempo in Tutti vogliono qualcosa (Everybody wants some!!, 2016), storia d’un weekend nell’esistenza d’una matricola dell’università del Texas nel 1980.

Jake (Blake Jenner) è il nuovo lanciatore della squadra di baseball e nel fine settimana che precede l’inizio dei corsi conosce i componenti del team con cui condividerà i successivi anni. Il film mostra le dinamiche di gruppo di giovani molto competitivi ma mossi da uno spirito cameratesco, seguendoli tra bevute, goliardie, ragazze, il perenne parlarsi addosso tipico di Linklater, bravissimo nel far emergere il carattere dei componenti di un cast corale.

Siamo nel 1980, quindi Tutti vogliono qualcosa trasuda dettagli d’annata, canzoni, acconciature, vestiti. Ma Linklater non è un collezionista ossessivo del passato, che descrive con precisione ma anche discrezione. Non feticizza la presenza degli oggetti di consumo vintage ed evita il citazionismo spinto dei film che creano empatia col pubblico tramite la strizzatina d’occhio delle memorie d’epoca condivise.

Film sul tempo e sulla nostalgia, ovviamente, esemplificata dal personaggio interpretato da Wyatt Russell, espulso dal college quando si scopre essere un trentenne che ha falsificato le generalità per continuare a fare lo studente fuori tempo massimo. Tutti vogliono qualcosa è la strategia escogitata da Linklater per falsificare le proprie generalità e cercare di riattingere quella forma edenica di vita che è stata la sua (nostra) giovinezza – quando si poteva essere (anche) irresponsabili.

Il regista segue i personaggi nelle schermaglie e nell’inesausto chiacchiericcio perché spera di catturare nel flusso degli avvenimenti apparentemente insignificanti quei momenti epifanici – l’allenamento di baseball, le luci fiabesche d’una festa fricchettona, il bagno all’alba di Jake con una ragazza speciale – in cui le emozioni dolcissime del tempo perduto sembrano manifestarsi.

Linklater però non è ingenuo, sa che è impossibile resuscitare il passato. Non solo perché non potrà mai ripresentarsi, ma soprattutto perché è inutile baloccarsi con l’idea che ci sia stata nella propria vita una mitica età perfetta. Infatti i protagonisti di Tutti vogliono qualcosa ricordano con struggimento gli anni del liceo quando, assicurano, le cose erano veramente meravigliose. Persino all’interno di un film sulla nostalgia, insomma, si è nostalgici di un’epoca antecedente a quella raccontata. Così l’obiettivo viene spostato all’infinito, e non si riesce mai a capire se e quando si sia stati davvero felici.

Spesso i film sulla nostalgia hanno un’aria fasulla, perché sono certi che basti mettere in scena filologicamente un’epoca antecedente per riportarne in vita lo spirito, mentre invece riescono appena a mostrarne la scorza esteriore. Tutti vogliono qualcosa non ha questo genere di certezze e il risultato ha un sapore più malinconico e veritiero. L’unica cosa che Linklater può fare è continuare a raccontare – in un film volutamente dalla struttura aperta, che potrebbe proseguire oltre la parola “fine” –, illudendosi che comunque qualche istante incantevole s’impigli tra le maglie dei fotogrammi e ci restituisca l’inattingibile sapore del passato. Una frustrante fatica di Sisifo. Che, guarda caso, è l’eroe di Jake (e Linklater).