Come eravamo: stasera in tv la love story con la coppia Streisand Redford

Appuntamento alle 21.30 su La7D con uno di quei rari film che, parlando di sentimenti, suona autentico e non ricattatorio. Merito del grande Sydney Pollack e della misteriosa chimica tra i protagonisti. E di una storia interamente costruita sulla nostalgia.

Come eravamo love story con la coppia Streisand Redford

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L’American Film Institute inserisce Come eravamo (The Way We Were, 1973) al sesto posto nella classifica delle più belle love story di tutti i tempi. Difficile dargli torto, perché effettivamente il film, attraverso la chimica magnetica della coppia di protagonisti, Barbra Streisand e Robert Redford, irradia un’immagine nostalgica dell’amore e del tempo che passa guastando i sentimenti. Come eravamo restituisce con autenticità quel senso di ineluttabilità d’una storia destinata al fallimento e così finisce immancabilmente per conquistare il pubblico, anche quello meno propenso alla commozione.

Grazie alla regia di un cineasta grande e oggi un po’ sottovalutato, Sydney Pollack, lo spettatore crede romanticamente all’amore impossibile tra due tipi diversissimi, s’immedesima nello strenuo ottimismo della protagonista Katie Morosky (Streisand) – verso l’amore e una vita affrontata come attivismo perenne –, e immagina che le grandi passioni sopravvivano persino ai finali che ne decretano il de profundis, grazie anche a una canzone, The way we were, che dà una forma definitiva al sentimento della nostalgia. E forse tutto il segreto, banalmente, è nella linea dello sguardo, perché i due, anche quando litigano, non smettono mai di cercarsi costantemente con gli occhi.

Il film nasce da una sceneggiatura di Arthur Laurents, commissionatagli dal produttore della Columbia Ray Stark, che cercava un grosso successo per la Streisand la quale, sebbene fosse nei primi anni Settanta all’apice della sua carriera, era reduce dalla battuta d’arresto del modesto Voglio la libertà. Laurents pescò nelle sue memorie giovanili, da cui emersero due elementi che divennero l’architrave della storia: gli anni del college al tempo della guerra di Spagna e della nascente minaccia hitleriana e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, l’epoca del maccartismo e della caccia alle streghe, di cui lo sceneggiatore fu una vittima.

Laurents ideò una storia su misura per la Streisand, incidendo il ritratto della volitiva Katie, ebrea americana d’estrazione piccolo borghese, politicamente vicina al partito comunista, la quale al college s’innamora platonicamente del suo opposto: Hubbell Gardiner (Redford), il wasp ricco, bello, atletico e dalle frequentazioni fatue, che però nasconde un talento da scrittore e una certa elegante consapevolezza dei propri privilegi – il racconto che ne rivela le doti nel film si chiama “Il vero americano sorride” e comincia con le parole “In un certo senso egli era come la nazione nella quale viveva, aveva avuto tutto troppo facilmente”.

Il racconto degli anni felici e un po’ magici dell’università in Come eravamo s’innesta come flashback di Katie, che sta osservando un reduce di guerra che dorme nel bel mezzo di un locale rumoroso a New York. Naturalmente è Hubbell, che non sa neanche d’essere osservato. Il film quindi parte dalla nostalgia struggente per un tempo magnifico ormai passato – Hollywood cominciava a sfornare i primi film che tematizzavano la nostalgia per un eden perduto, il 1973 infatti è l’anno anche di American Graffiti – e in quella sequenza dispone con precisione i caratteri dei protagonisti. Perché nel film, con un sostanziale ribaltamento dei ruoli canonici, è la donna il motore dell’azione che seduce il maschio fascinoso, il quale si limita a incarnare l’oggetto del desiderio.

Un ruolo sulla carta piuttosto passivo: e infatti inizialmente Redford fu restio ad accettarlo perché gli sembrava un personaggio troppo remissivo e privo di spina dorsale. Anche per questo la sceneggiatura venne riscritta passando, dopo il licenziamento di Laurents che ci rimase malissimo, attraverso ben 11 sceneggiatori, tra cui Alvin Sargent e Dalton Trumbo. Per giungere infine, dopo essersi trasformata in un inestricabile guazzabuglio, nelle mani ancora una volta di Laurents, richiamato al capezzale della sua storia.

Non fu quella l’unica traversia di Come eravamo: l’altro problema fu rappresentato dal cuore della seconda parte del film, il periodo del maccartismo. Perché una volta passata la guerra, l’amore tra Katie e Hubbell, pur nell’evidenza delle loro profonde diversità, sboccia: e sebbene lei sogni per lui un futuro da scrittore, lui dopo l’insuccesso d’un romanzo dal titolo molto fitzgeraldiano, “A Country made of Ice Cream”, sceglie di fare lo sceneggiatore per Hollywood e i due si traferiscono sulla costa Ovest. E sono, appunto, gli anni della caccia alle streghe anticomunista, che nel mondo del cinema mieté vittime illustri. Come eravamo è il primo film di una major che racconta quella pagina, con la difficoltà di doverla incastrare in una vicenda la quale, nonostante lo sfondo storico, resta un melodramma intimista su una coppia impossibile.

Dalla natura ibrida del progetto sorsero non pochi problemi, che si tradussero, dopo le prime proiezioni, in tagli consistenti, che asciugarono le parti riguardanti la politica per focalizzarsi sulla vicenda sentimentale. La visione di alcune parti eliminate, recuperate nell’edizione in dvd, permette di apprezzare lo sforzo dello sceneggiatore di integrare la grande storia del maccartismo con la piccola storia privata di Katie e Hubbell. Infatti la Streisand si lamentò del fatto che, eliminate alcune scene, la fine della storia d’amore sembrasse causata da un banale tradimento, mentre inizialmente era legata alle divergenze ideologiche e caratteriali della coppia, lei paladina dei diritti civili, lui più conformista e disposto al compromesso.

Anche così, Come eravamo resta un film affascinante. È vero, ci sono molti scompensi narrativi e nella seconda parte il racconto corre assai velocemente, ed evasivamente, sorvolando sugli opportuni dettagli storici. Inoltre i protagonisti mantengono per tutto il film un’aria troppo divistica: la Streisand conserva un’eleganza eccessiva per il personaggio, troppo pettinata, con delle incongrue unghie lunghe e curatissime che l’attrice non volle tagliare nemmeno nelle sequenze giovanili del college; dall’altro lato il personaggio di Redford resta troppo remissivo e inerte, e forse l’attore non aveva tutti i torti nel dubitare di questo ruolo.

Ma nonostante tutto, Come eravamo funziona: e più dell’architettura generale, di questo film si tendono a ricordare singole scene, ognuna delle quali calibrata per restituire una sensazione specifica di gioia o di infelicità. Ogni spettatore ha la sua preferita. La mia è quella in cui il giovane Hubbell allaccia la scarpa a Katie, che è un piccolo capolavoro di seduzione all’insegna della discrezione. Perché Come eravamo è un film fatto per sedurre: e ci riesce ancora benissimo, a più di quarant’anni dalla sua uscita.