A Cannes 2016 oggi è il giorno del gigante di Steven Spielberg. E di Paolo Virzì

Fuori concorso oggi arriva "GGG - Il grande gigante gentile" del regista americano, tratto da un celebre racconto per l'infanzia. In concorso ci sono il regista di culto sudcoreano Park Chan-wook (quello di "Old Boy") e Maren Ade. Un pezzo di Italia nella Quinzaine, con "La pazza gioia" di Virzì.

Cannes 2016 oggi tocca a Spielberg e Virzì

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Giornata ricca e assai varia quella del primo sabato di Cannes 2016. In concorso ci sono il cultistico autore sudcoreano Park Chan-wook, per la terza volta in concorso e la meno nota tedesca Maren Ade e con lei la Germania dopo anni torna finalmente sulla Croisette.

Ma oggi per il grande pubblico è soprattutto il giorno di Steven Spielberg e del suo gigante gentile. Mentre la bandiera italiana viene tenuta alta da Paolo Virzì che porta il suo La pazza gioia, un gioco sul filo di sanità e follia che si preannuncia assai interessante.

E per chi volesse addentrarsi chirurgicamente nel fitto programma della giornata, emergono altri titoli di grande curiosità, che sarà bene, passata la sbornia festivaliera, riuscire a vedere in qualche modo.

Segnaliamo almeno: nelle sessioni speciali, Wrong elements, primo esperimento documentario dello scrittore Jonathan Littell, noto per il suo controverso romanzo Le benevole; il caleidoscopico Alejandro Jodorowsky, che porta nella Quinzaine l’autobiografico Poesia sin fin, per realizzare il quale è ricorso anche al crowdfunding; un altro pezzetto di Italia nella Settimana della Critica, I tempi felici verranno presto, intimistico secondo lungometraggio del giovane regista friulano Alessandro Comodin. Ma concentriamoci sui film principali.

Mademoiselle di Park Chan-wook, in concorso

Mademoiselle (The handmaiden) è il nuovo film di Park Chan-wook, uno dei principali esponenti della rinascita della cinematografia sudcoreano, che si è creato una fama internazionale con la sua trilogia della vendetta, il cui secondo episodio, il celebre, durissimo Old Boy (2003) conobbe proprio sulla Croisette una grande affermazione, con il Gran Premio della Giuria all’edizione del 2004, quando il presidente di giuria era Quentin Tarantino. Nel 2013 ha realizzato anche il suo primo film di lingua inglese, Stoker, con Nicole Kidman.

Adesso con Mademoiselle torna a casa, adattando un romanzo dell’autrice gallese Sarah Walters, Fingersmith (in Italia uscito col titolo Ladra), da cui era già stata tratta una miniserie televisiva per la BBC. Il regista ha spostato l’ambientazione dall’Inghilterra vittoriana alla Corea sotto il potere del Giappone, negli anni Trenta del Novecento. La storia è incentrata su una ladra che riesce a farsi assumere come cameriera da una ricca donna giapponese, Lady Hideko, con l’obiettivo di rubarle i soldi. Ma la Lady s’innamora della ragazza e la storia prende una piega inattesa. Come i due precedenti Thirst e Stoker, quindi, Mademoiselle è incentrato su temi come la passione, l’erotismo, la tentazione. Parlando del film il regista ha dichiarato che voleva raccontare “la gioia dell’erotismo invece della colpa. È essenzialmente una liberazione dal senso di colpa”.

Toni Erdmann di Maren Ade, in concorso

Toni Erdmann è l’identità fittizia che assume Winfried (Peter Simonischek), giunto a Bucarest per riannodare i rapporti con la figlia Ines (Sandra Hüller), che lavora come consulente aziendale. Il padre, visto l’impiego in ambiente “corporate”, teme che la ragazza abbia perso il suo senso dell’umorismo: e quindi la trasformazione in Toni coincide con la creazione di un personaggio bizzarro e scherzoso, che inizialmente causa non poche incomprensioni tra i due.

Maren Ade è una cineasta tedesca quarantenne, al suo terzo lungometraggio dopo The Forest For The Trees (2003) ed Everyone Else (2009), vincitore dell’Orso d’argento al festival di Berlino e anche del premio per la migliore attrice. Rilevante anche la sua attività di produttrice, ha cofondato la Komplizen Film con la quale ha partecipato alla realizzazione, per esempio, di alcuni film di uno dei più innovativi autori dell’ultima generazione, il portoghese Miguel Gomes (Tabu e Arabian Nights). Da segnalare che questo è il primo film tedesco in lizza a Cannes dai tempi di Palermo Shooting di Wim Wenders, anno di grazia 2008. Un vuoto al quale si è giustamente posto rimedio.

GGG – Il grande gigante gentile di Steven Spielberg, fuori concorso

Bisognerà attendere a lungo, addirittura il primo gennaio del 2017 per vedere in Italia GGG – Il grande gigante gentile (The BFG, 2016), il nuovo film di Steven Spielberg, tratto dal romanzo omonimo del 1982 del celebre autore di libri per l’infanzia britannico Roald Dahl (l’autore de La fabbrica del cioccolato). Spielberg torna a una storia favolistica come non faceva dai tempi di Hook e per questo si avvale della collaborazione alla sceneggiatura di Melissa Mathison, che aveva scritto il capolavoro E.T.

Protagonista è il Grande gigante gentile, interpretato da quel Mark Rylance che grazie al ruolo nel precedente film di Spielberg, Il ponte di spie, ha vinto quest’anno l’Oscar come migliore attore non protagonista. Il suo personaggio è un singolare gigante di 7 metri d’altezza, vegetariano e di buona indole, che rapisce e porta nella sua caverna Sophie, una ragazzina di 10 anni (Ruby Barnhill) che, passati i primi timori, comprende le buone intenzioni del colosso. Non così pacifici sono i suoi simili, dei giganti cannibali che progettano una nuova strage. E allora GGG e Sophie devono inventarsi un piano per sconfiggerli, che coinvolge persino la regina d’Inghilterra. Una storia in cui la realtà si mescola potentemente con la dimensione onirica e fantastica, una chiave che sulla carta appare assai congeniale a Spielberg. A proposito del citato Hook, l’attore che per primo fu immaginato dai produttori Kathleen Kennedy e Frank Marshall, che accarezzavano questo progetto tecnicamente complicato sin dai primi anni Novanta, era proprio il Peter Pan spielberghiano, Robin Williams.

La pazza gioia di Paolo Virzi, Quinzaine de Réalisateurs

Thelma e Louise all’italiana o Sorpasso al femminile? È difficile non pensare al film di Dino Risi e alla commedia all’italiana degli anni Sessanta vedendo il trailer de La pazza gioia, il nuovo film di Paolo Virzì che oggi fa la sua comparsa a Cannes nella prestigiosa rassegna collaterale della Quinzaine. È difficile non farlo vedendo le due protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti sfrecciare sulle strade della Toscana su un’auto d’epoca mentre ci culla la melodia di Senza fine di Gino Paoli, che rimanda a quell’epoca e a certi umori inconfondibili. Le protagoniste sono una presunta e istrionica contessa Beatrice Morandini Valdirana e una ragazza tatuata e introversa, entrambe ospiti d’una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali.

Le due intraprendono un viaggio di fuga, dalla follia, da se stesse forse, e non sappiamo ancora cosa o chi incontreranno lungo il loro percorso. Ma è bello immaginare che la meta del loro viaggio non sia tanto il mondo di oggi, ma quella Italia da miracolo economico e quel cinema che Virzì non ha mai fatto mistero di amare moltissimo – i Risi e i Monicelli -, del quale è l’unico credibile erede. L’attesa, si sarà capito, è tanta, anche perché il regista livornese è solitamente al suo meglio quando racconta piccole storie di personaggi qualunque: come quelli di Tutti i santi giorni, per esempio, che sugli effetti del capitalismo sulla vita della gente diceva assai più de Il capitale umano, che voleva essere il grande affresco sull’Italia contemporanea e falliva per eccesso di ambizioni. La pazza gioia azzarda addirittura il tema scivolosissimo della follia, metafora buona a ogni (pessimo) uso, e questo ci sembra un segno di coraggio, consegnando sulla carta il film al Virzi più ispirato. Dopo Cannes, uscita nei cinema martedì 17. Da non perdere.