1981: indagine a New York. Qual è il prezzo del successo?

Il regista e sceneggiatore J.C. Chandor firma un’intrigante riflessione sul sogno americano. Un cinema adulto, che ritrae una realtà ambigua nella quale è difficile distinguere buoni e cattivi. Ottimi i protagonisti Oscar Isaac e Jessica Chastain.

1981: indagine a New York

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Dobbiamo ringraziare Movies Inspired per aver distribuito 1981: indagine a New York (traduzione fuorviante di A most violent year), film del 2014 firmato dal regista e sceneggiatore J.C. Chandor. Un nome da appuntare, già autore della tagliente riflessione sulla crisi economica Margin call (2011) e di All is Lost (2013), survival movie con un’icona del cinema anni Settanta, Robert Redford.

1981: indagine a New York recupera lo spirito di quell’epoca, a partire dall’ambientazione, con una non comune moralità dello sguardo che lo apparenta al Bennett Miller di Foxcatcher, altro duro apologo dedicato al medesimo periodo. È come se ci fosse il bisogno, per capire l’America contemporanea, di tornare al punto di svolta dei primi anni Ottanta, apice d’una crisi che stava per stingere nell’euforia della nuova espansione economica reaganiana. Un tempo ambivalente che J.C. Chandor fotografa con acume, scegliendo simbolicamente un anno segnato dalla violenza e un protagonista che restituisce bene il senso di un’epoca in chiaroscuro.

Abel Morales (un ottimo Oscar Isaac) è un ispanoamericano che ha ottenuto ciò che l’american dream promette: partendo dal basso è diventato un imprenditore di successo nel settore degli oli combustibili, senza mai piegarsi al compromesso. Cosa non facile, perché stiamo parlando di un mestiere da working class, fatto da gente che appartiene a quella strada dove legalità e illegalità spesso s’intrecciano. Infatti la moglie Anna (Jessica Chastain) viene da una famiglia di gangster, da cui Abel s’è tenuto sempre alla larga.

Purtroppo i camion dell’azienda sono diventati bersaglio di continue rapine e un ambizioso procuratore distrettuale (David Oyelowo) sta conducendo un’indagine su Morales, pregiudizialmente certo che la sua attività sia corrotta. E questo proprio nel momento in cui Abel ha messo in gioco tutte le sue fortune per acquistare un impianto di stoccaggio a Brooklyn che gli consentirebbe di ingrandirsi.

Chandor delinea un itinerario morale senza facili risposte o messaggi univoci, con squarci che illuminano l’ambiguità intrinseca della situazione. Morales incontra i suoi competitors in un ristorante per convincerli a non fargli la guerra: e messe intorno al tavolo, queste facce di gente comune rimandano iconograficamente a una riunione di gangster da film alla Scorsese. Lo stesso Abel, quando il braccio destro Andrew (un’icona del cinema Settanta-Ottanta, Albert Brooks) lo invita a fare una passeggiata, commenta: “Siamo a questo punto? Dobbiamo parlare camminando, come due gangster?”.

Morales è un uomo con la schiena dritta, che ai suoi venditori spiega che bisogna guardare negli occhi i clienti, “perché non c’è cosa più difficile che dire la verità a qualcuno guardandolo negli occhi”. All’autista Julian (Elyes Gabel), traumatizzato dopo un pestaggio, dice che proprio quando si ha più paura è il momento di darsi da fare. La sua filosofia di vita è improntata al rischio, nella certezza che la società in cui vive lo ripagherà di tanto impegno.

Sotto l’immagine positiva che il protagonista ha di quel mondo scorre però una realtà più opaca: nella quale i problemi non sono solo violenza e corruzione, ma l’equivoco connaturato a un modello sociale regolato da una feroce lotta darwiniana, in cui il successo di qualcuno va a scapito dei deboli che soccombono.

Ma 1981: indagine a New York evita banali requisitorie contro il capitalismo. L’imprenditore Morales, infatti, è ritratto come il tipo d’uomo che ognuno aspirerebbe ad essere, onesto, responsabile verso la famiglia e l’azienda. Eppure la sua rettitudine è incrinata dalla mancanza di consapevolezza circa le conseguenze dei propri atti: che spingono la moglie a rinfacciargli la cecità con cui persegue il suo american dream e Andrew a chiedergli il perché del suo inesausto impegno. Lui non capisce il senso della domanda, perché per lui crescere ed espandersi sono un’attitudine automatica come il respiro. Forse il significato di quell’interrogativo “esistenziale” gli si chiarirà dopo l’ultimo colpo di scena (non lo sveleremo), che dice icasticamente qualcosa sull’ambigua relazione che successo e ambizione intrattengono con violenza e dolore. Ma non è un finale che vuole separare il bene dal male, distribuendo colpe e premi: è solo il modo per restituire la sfumata complessità del reale.