Joy: Jennifer Lawrence in una versione moderna (e capitalista) di Cenerentola

David O. Russell racconta la vicenda della donna diventata miliardaria grazie all’invenzione del mocio. Una storia che sembra una favola. Con questa Joy Cenerentola sottomessa a una famiglia disfunzionale alla quale, alla fine, si ribella. Trovando non il principe azzurro, ma il successo.

Joy Jennifer Lawrence e Bradley Cooper

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Joy è la storia di Cenerentola. Nel film di David O. Russell, ispirato alla vita di Joy Mangano, la donna che ha fondato un impero inventando il miracle mop, la protagonista è una ex bambina creativa che ha abbandonato i sogni per accudire la famiglia disfunzioniale. China per terra come Cenerentola, Joy (Jennifer Lawrence) raccoglie i cocci del ménage dei genitori, il padre Rudy, piccolo imprenditore frustrato (Robert De Niro) e la madre Terry (Virginia Madsen) che, delusa, s’è rifugiata nelle soap-opera. Della favola c’è anche la sorellastra invidiosa, ma non il principe azzurro, perché il marito di Joy, Tony (Édgar Ramírez) è una cocente delusione. A ben guardare però, un principe azzurro c’è: è Neil (Bradley Cooper), produttore del canale di televendite che offre a Joy l’opportunità di promuovere in tv la sua invenzione, consentendole di agguantare il successo. A quel punto, come in una favola, la neve comincia a fioccare per decretare il lieto fine.

Raccontato così, Joy può sembrare quasi puerile. Ma i film di Russell sono più complessi e meno piattamente ottimistici di quanto sembri. Il precedente Il lato positivo (2012), per esempio, racconta di un individuo bipolare che per reagire alle difficoltà comincia a correre indossando un sacchetto dell’immondizia: immagine malinconica e infelice di un uomo senza rispetto per se stesso, che nemmeno il fasullo lieto fine del film può far dimenticare.

Anche in Joy il mondo, a vederlo da vicino e non concentrandosi solo sul risultato (il successo dell’impresa), è poco entusiasmante: una famiglia che, nonostante divorzi e risentimenti, continua a convivere sotto lo stesso tetto, ex mariti nel sottoscala compresi, con un’ostinata simulazione della vita felice. E quando la nuova compagna del padre, la facoltosa vedova Trudy, (Isabella Rossellini) finanzia il progetto di Joy, il mescolamento di affetti e interessi economici rende ancora più tesi e gretti dei rapporti familiari allo stesso tempo odiosi e inaggirabili. Non riscatta il mondo dalla sua intrinseca bruttezza nemmeno la voce fuori campo della nonna Mimi (Diane Ladd) che, credendo da sempre ai talenti della nipote, commenta le vicende con un tono ammantato di dolcezza, che stride non poco con quello che si vede sullo schermo.

L’unico momento in cui la realtà si tinge davvero dei colori della fiaba è quello in cui Neil mostra a Joy il funzionamento di questa macchina dei sogni a misura di consumatore che è il canale di televendite. Tutto è bizzarro ed entusiasmante come in una favola, dal marchingegno del palco rotante con diverse scenografie (meraviglioso come un carillon o una giostra da luna park), alla frenesia operosa dei professionisti che lavorano dietro le quinte, fino al momento magico in cui, grazie al televenditore pifferaio, gli acquirenti cominciano a telefonare a valanga per comprare l’agognato prodotto, col contatore ben in vista a misurarne il successo. Arrivano i soldi. Ed è arrivata la felicità. Perché l’unica vera favola è quella del modello aperto, democratico e ad alta mobilità sociale del capitalismo americano, che offre a chiunque la sua opportunità.