Tutti gli uomini del presidente: stasera in tv Redford e Hoffman, reporter d’assalto

Appuntamento alle 21 su Iris con uno dei capolavori del cinema statunitense degli anni Settanta. Il film racconta lo scandalo Watergate e l’inchiesta di Bernstein e Woodward, che portò alle dimissioni del presidente Nixon. Epocale. Con due protagonisti magnetici.

Tutti gli uomini del presidente con Redford e Hoffman

INTERAZIONI: 70

Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula (e del produttore Robert Redford, che lo volle fortemente) è uno dei grandi film americani degli anni Settanta, di cui rappresenta una sorta di spartiacque. Prima di lui, la pellicola è del 1976, il cinema statunitense era stato attraversato, come il paese, da una profonda crisi d’identità che si riverberava in opere segnata dalla paranoia e dalle ansie di complotto. Film come Azione esecutiva (1972) di David Miller, Perché un assassinio (1973) dello stesso Pakula, il thriller cospirazionista I tre giorni del Condor (1975) di Sidney Pollack: tutti figli del pessimismo nazionale cominciato con l’assassinio del presidente Kennedy, continuato con la crisi del Vietnam, la polveriera della questione razziale, gli altri omicidi eccellenti (Martin Luther King, Malcom X, Robert Kennedy), e sfociato nel caso Watergate al centro di Tutti gli uomini del presidente.

La storia è nota: il primo giugno del 1972 Frank Wills, una guardia di sicurezza dell’Hotel Watergate a Washington si accorge che è in corso un’effrazione al quartier generale del Comitato nazionale Democratico, la principale organizzazione per la campagna e la raccolta fondi del Partito democratico. La polizia arresta sul posto cinque uomini, uno dei quali capo della sicurezza del comitato per la rielezione del repubblicano Richard Nixon alla presidenza degli Stati Uniti. Inizialmente minimizzato dall’addetto stampa del presidente come un “furto di terz’ordine”, il Watergate divenne – grazie all’inchiesta dei due giornalisti del Washington Post Carl Bernstein (Dustin Hoffman) e Bob Woodward (Redford) e del loro misterioso informatore detto Gola profonda – uno scandalo di dimensioni gigantesche, che portò nel 1974 alla richiesta di impeachment di Nixon, accusato di aver ostacolato il corso delle indagini. E il presidente fu costretto a dimettersi.

Tutti gli uomini del presidente, perciò, è quasi un instant movie, uscito a ridosso degli avvenimenti, risentendo positivamente di quest’aria da presa diretta, da cronaca più che ricostruzione cinematografica. Infatti il film comincia dall’irruzione dei cinque uomini al Watergate e addirittura la vera guardia Frank Wills interpreta se stessa, con una voluta sovrapposizione tra realtà e finzione. La meticolosa inchiesta del duo “Woodstein” (come li chiama il loro direttore Ben Bradlee [Jason Robards]) scoperchia il marcio che aggredisce il paese dalle fondamenta; e sebbene la vicenda sia drammatica, emerge la capacità della stampa di opporsi alla corruzione.

Il film è giocato con straordinaria intelligenza sulla costruzione di un conflitto tra due dimensioni spaziali: da un lato l’oscurità del mondo esterno (fotografata suggestivamente dal grande Gordon Willis), dai garage nei quali Woodward incontra Gola Profonda agli interni degli appartamenti in cui i giornalisti incontrano testimoni tutti riottosi, dall’altro la luminosità della redazione del Washington Post. Un luogo che diventa un simbolico baluardo della democrazia: restituito con grande realismo scenografico e una corrispondente attenzione alla vita del giornale di cui racconta le riunioni di redazione, i tempi morti, i rapporti umani e professionali.

Tutti gli uomini del presidente è un thriller tesissimo senza una sola scena d’azione, tutto fondato sulla forza di persuasione della parola, che consente a Bernstein e Woodward di convincere dopo estenuanti trattative gli informatori a fornire loro le notizie necessarie.

Ci sono sequenze giustamente celebri che sintetizzano la sostanza civile del film: quella in cui una televisione in primo piano informa della ricandidatura di Nixon alla presidenza, mentre Woodward continua a battere il suo articolo in un angolo sullo sfondo, apparentemente sconfitto dagli avvenimenti. È un’inquadratura che rende la contrapposizione tra la politica e la stampa, quest’ultima da intendere davvero come “cane da guardia” del sistema. Due realtà non in combutta, che invece si contendono letteralmente lo spazio pubblico, in un gioco di contrappesi che la composizione visiva dell’immagine restituisce benissimo.

O la famosa inquadratura dall’alto della Biblioteca del Congresso, in cui la macchina da presa si solleva fino a ottenere una visuale aerea della scena, che corrisponde alla ricerca di un punto di vista nuovo, sulla storia da parte dei due giornalisti, e in generale sul paese. Per fare finalmente chiarezza sulle trame oscure e andare oltre l’ossessione del sospetto in cui per un decennio gli Stati Uniti s’erano dibattuti. E a offrire una risposta alla crisi e un’opportunità di riscatto è il giornalismo: la cui potenza è espressa anche dalla sequenza in cui, temendo di essere spiati con una cimice, Bernstein e Woodward comunicano usando la macchina per scrivere, perché la verità di quei caratteri stampati possiede una voce che vince il silenzio che si cerca di imporre con la forza.

Tutti gli uomini del presidente segna il passaggio dall’era del pessimismo al ritorno dell’ottimismo, in questa pellicola tenuti mirabilmente in equilibrio anche visivamente, con l’alternarsi di ombra e luce, pieni e vuoti, parole e silenzio. Dopo di lui progressivamente il buio si diraderà e, con i primi blockbuster spettacolari e l’avvicinarsi dell’euforia reaganiana degli anni Ottanta, non solo il cinema, con la fine della New Hollywood, ma anche il modo del paese di guardare a se stesso muterà profondamente. Ma non passerà mai del tutto la lezione civile di questo film. Ancora oggi, quando a Hollywood si vuole fare un’opera “impegnata”, è a quel modello che si guarda. Basti pensare al recentissimo La grande scommessa, un thriller sulla crisi economica parlatissimo e senza scene d’azione, che deve chiaramente qualcosa a Tutti gli uomini del presidente.