La grande scommessa: un cast tutte stelle per raccontare la crisi economica

Il regista Adam McKay racconta il default della finanza mescolando tragedia e commedia, siparietti quasi demenziali e invettive alla Michael Moore. Perché una storia inaudita ha bisogno di uno stile inaudito. Cast affiatatissimo, con Steve Carell e Christian Bale su tutti.

La grande scommessa con Steve Carell Brad Pitt Christian Bale

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La grande scommessa (The Big Short) di Adam McKay racconta la crisi finanziaria esplosa nel 2007, il crollo del mercato azionario di Wall Street causato dai titoli legati ai mutui del mercato immobiliare statunitense. Tutti noi abbiamo fatto la conoscenza di termini come bolla speculativa, mutui subprime, senza onestamente capire davvero cosa significassero ma comprendendone bene gli effetti recessivi sull’economia e la vita di ognuno di noi. Termini “tossici”, volutamente incomprensibili (sigle astruse come CDO, AAA, BBB), per spiegare i quali l’unica soluzione sembra essere quella di adottare uno stile “tossico”, ibrido, che mescola generi e registri.

Questo fa Adam McKay, sulla carta il regista meno indicato per un film “civile” su un tema così spinoso, dato che proviene dal Saturday Night Live e film comico-demenziali come i due Anchorman con Will Ferrell. Ma a pensarci bene, cosa c’è di più demenziale del mondo dei broker testosteronici e ingordi d’una finanza di rapina? Un gioco dominato, il film lo dice ripetutamente, da avidità, frode e stupidità. In cui contano solo guadagni, commissioni, interessi che banche e consulenti intascano su ogni transazione, e non la correttezza e l’affidabilità del mercato.

Tratto dal bestseller omonimo di Michael Lewis, che narra una storia vera, La grande scommessa sceglie uno stile inaudito per raccontare la storia inaudita d’una realtà gretta, ignorante e ottimista che è andata a schiantarsi sulla crisi senza nemmeno accorgersene. I protagonisti della vicenda sono i pochi visionari in grado di capire cosa stesse succedendo. L’ex medico che gestisce un fondo d’investimento Michael Burry (Christian Bale), geniale analista che s’è spulciato i singoli mutui che compongono le obbligazioni e sceglie di scommettere sul loro fallimento. Jared Vennett (Ryan Gosling) un trader della Deutsche Bank che intuisce l’affare; Mark Baum (Steve Carell), gestore d’un fondo speculativo, deluso dal sistema eppure caparbiamente impegnato a cercare di raddrizzarlo; Ben Rickert (Brad Pritt), ex banchiere ambientalista che decide di aiutare due giovanissimi trader che hanno fiutato l’occasione, mettendogli a disposizione i suoi contatti.

Tutti puntano sul fallimento del sistema. E quasi tutti posseggono tratti allarmanti: Burry è un sociopatico che confonde il giorno con la notte e si concentra ascoltando musica heavy metal; Baum ha enormi difficoltà a gestire le emozioni e si sente colpevole del suicidio del fratello; Rickert odia il sistema di cui predice l’apocalisse, mangia solo cibi biologici e indossa una mascherina protettiva. Ma, paradossalmente, sono gli unici sani in una realtà malata e totalmente inconsapevole.

Un mondo simile non può essere raccontato in un modo normale. Lo aveva capito Scorsese, che in The Wolf of Wall Street aveva restituito il carattere selvaggio di uomini i quali, di fronte alla vertigine del guadagno, sconfinavano in emozioni compulsive e incontrollabili. Lo ha capito McKay, con un racconto liberissimo che mescola generi e stili. La grande scommessa è di volta in volta: una commedia nera con protagonisti bizzarri; un documentario sarcastico, nei momenti in cui la voce off descrive gli avvenimenti con ironici fermi immagine a commento (ed è puro Michael Moore); i siparietti dissonanti che interrompono la linea narrativa, in cui si vedono dei “testimonial” (Margot Robbie, lo chef Anthony Bourdain, Selena Gomez), che spiegano in termini (passabilmente) comprensibili l’ostico gergo economico; il film drammatico, quando l’esaltante gioco d’azzardo si trasforma in tragedia e si vedono gli uffici vuoti della Lehman Brothers dopo la bancarotta.

La grande scommessa racconta una storia talmente incredibile che, talvolta, i protagonisti si fermano nel mezzo dell’azione rivolgendo lo sguardo in macchina per assicurare che quanto gli spettatori stanno vedendo è successo davvero e non si tratta di espedienti inventati per drammatizzare il tono. Il vero dramma è la realtà. E l’unico modo per raccontarla è mescolando tragedia e commedia, ridendo commuovendosi di fronte a vicende che incutono paura.

La grade scommessa si concede anche taglienti allegorie che esprimono la posizione del film: i migliori investitori nelle obbligazioni immobiliari sono le spogliarelliste (la “seduzione” del mercato); la convention nazionale sui temi della sicurezza finanziaria si svolge a Las Vegas (è tutto un azzardo, altro che sicurezza); l’alto papavero dell’agenzia di rating, cioè l’organismo che deve valutare la solidità dei titoli, è quasi cieco; nella palestra in cui i broker si allenano come yuppie in un film anni Ottanta, il trainer incita a spingere “di più, sempre di più”.

Un’ultima notazione per gli attori, bravissimi: da un cupo e misurato Pitt, anche produttore del film, a Bale, in grado come pochi di rendere la natura borderline d’un personaggio. Su tutti va segnalato Steve Carell. Aveva già mostrato il suo talento drammatico nel bel Foxcatcher, ma qui si supera in un ruolo cui è demandato il tono morale del film. Un personaggio ambivalente, interno al mondo della finanza ma non alla sua logica perversa, che pensando al fratello dice “lui stava male e io gli ho offerto dei soldi” (sintesi perfetta d’un modello sociale che ribalta i valori). Il quale, nel sottofinale, si concede anche un discorso sul mercato incardinato su “frode e stupidità” che rovescia quello famoso sull’avidità di Gordon Gekko in Wall Street.