“Il tempo è denaro”: stasera su Italia 1 c’è “In Time”, con Justin Timberlake

Appuntamento alle 21.10 con la fantascienza di Andrew Niccol. Un futuro in cui il tempo ha sostituito il denaro e tutto si paga con pezzi di vita. Timberlake è il Robin Hood che ruba il tempo ai ricchi per darlo ai poveri. Una graffiante allegoria della contemporaneità, piena di interrogativi politici e filosofici.

stasera su Italia 1 In Time con Justin Timberlake

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Il regista Andrew Niccol ha usato spesso come dispositivo per indagare la contemporaneità una fantascienza distopica, che descrive un mondo intensamente imparentato all’oggi, mettendone in luce tensioni, desideri e paure. È stato così per il suo film d’esordio, Gattaca, che racconta un incubo eugenetico in cui l’appartenenza all’élite dipende dal patrimonio genetico; per S1m0ne, nel quale un regista all’insaputa di tutti crea un’attrice digitale di enorme successo, allegoria dell’angoscia per la scomparsa del cinema come lo abbiamo conosciuto; senza dimenticare The Truman Show, di cui ha scritto la sceneggiatura, una riflessione sulla trasformazione della realtà in spettacolo talmente sintonizzata sull’attualità da essersi velocemente avverata tramite reality show e social network.

Nel suo penultimo film, In Time, Niccol, anche sceneggiatore, immagina un 23esimo secolo in cui gli uomini crescono fino ai venticinque anni e, a quel punto, un timer biologico innestato sul braccio comincia un conto alla rovescia di un anno alla fine del quale si muore di colpo. L’unico modo per sopravvivere è acquisire nuovo tempo: perché in questa realtà il tempo è diventato, letteralmente, denaro, la moneta corrente con cui si compra ogni cosa, attraverso la cessione di porzioni della propria esistenza. La durata della vita si trasforma così in un angoscioso conto alla rovescia, dal quale è impossibile distogliere lo sguardo. Il sogno di tutti è poter protrarre indefinitamente l’esistenza, guadagnando tempo con qualsiasi mezzo – crimini, combattimenti, scommesse – fino a una virtuale immortalità senza invecchiamento, perché congelata nell’età perfetta dei 25 anni.

Will Salas (Justin Timberlake), che ha 25 anni da tre anni e vive in un quartiere povero, ha un incredibile colpo di fortuna, perché Harry (Matt Bomer), un ricco suicida con cent’anni sulle spalle e un secolo ancora a disposizione, gli cede l’intera sua esistenza prima di uccidersi. Quel “bottino” di vita ingolosisce le gang violente affamate di tempo e insospettisce il poliziotto Leon (Cillian Murphy), che sospetta un assassinio.

Will usa il tempo acquisito per accedere alle zone benestanti della città, attraversando barriere che costano interi anni di vita. Così assapora finalmente il lusso: vince secoli al gioco d’azzardo, guida auto sportive e si concede hotel a cinque stelle. Ma il vero obiettivo è più ambizioso: sottrarre enormi quantità di tempo ai ricchi, che lo stipano nelle loro inviolabili casseforti, per redistribuirlo ai poveri. In questa missione è aiutato da Sylvia (Amanda Seyfried), figlia ribelle di un magnate della finanza.

Il pregio maggiore di In Time sta nella trasparenza brutale dell’allegoria: una volta sostituito il denaro con il tempo, la critica dell’architettura del modello capitalista emerge nettissima. La riduzione dell’uomo a merce non è legata, marxianamente, allo sfruttamento del lavoro, ma alla sottrazione del suo tempo vitale. Quindi non è questione di economia, ma di biologia. Per questo i poveri vivono nell’angoscia e nell’affanno, sempre alla ricerca di porzioni d’esistenza; mentre la classe agiata ha il ritmo rilassato di chi ha tempo “da vendere” e nessun bisogno d’affrettarsi.

In un mondo dominato da un feroce darwinismo sociale, nel quale il sacrificio dei molti è funzionale alla sopravvivenza indefinita dei più forti, Will e Sylvia fanno proprio l’ottimismo della volontà, con il loro disegno umanitario di redistribuzione del “reddito” da novelli Robin Hood. Un progetto possibile solo attraverso l’infrazione delle regole, esercitando una violenza insieme aggressiva e liberatoria, che rimanda immediatamente alle celebri coppie criminali del cinema americano, da quella de La sanguinaria di Joseph H. Lewis sino a, ovviamente, Bonnie e Clyde di Arthur Penn.

In Time è un film originale, che si concede anche intelligenti graffi satirici – il magnate che come combinazione della cassaforte usa la data di nascita di Darwin. Per questo è un peccato che il tratteggio dei caratteri e la parte dell’azione sia derivativa. L’atteggiamento di Will è modellato su uno scontato immaginario alla James Bond, con completi impeccabili e un’irrealistica aria di fredda sicurezza. E la donna al suo fianco è immancabilmente bellissima, letale, sensuale ed elegante, anche nel bel mezzo di un inseguimento. Come è abbastanza scontato il contrasto tra il cencioso ma colorato mondo dei bassifondi e il grigio perenne dei quartieri alti.

Sono dettagli che depotenziano lo spirito sovversivo del film. Che in ogni caso, sotto la superficie dell’azione fantascientifica, agita questioni politiche e filosofiche: la disuguaglianza crescente, la separazione tra classi sociali (i ricchi vivono in enclave protette e sorvegliate), la paura di invecchiare (ci sono solo venticinquenni, per cui nonni, genitori e figli dimostrano tutti la stessa età), la relazione tra età biologica e psicologica (che spinge Harry a uccidersi perché “Arriva il giorno in cui ne hai abbastanza. La mente può essere esaurita anche se il corpo non lo è”). E infine, la capacità “oraziana” di saper assaporare il proprio tempo, per quel poco che ci è concesso.