Poltergeist: fallisce il remake del cult horror degli anni Ottanta

Il film diretto da Gil Kenan e prodotto da Sam Raimi è troppo simile all’originale di Tobe Hooper per appassionare, e spaventare, davvero. Un’occasione perduta, che non piacerà ai fan.

Poltergeist remake del capolavoro horror di Hooper

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Per una volta non è un prequel o un sequel e nemmeno un reboot, secondo la moda imperante di questi ultimi anni. Poltergeist è, semplicemente, il remake dell’horror di culto del 1982 firmato da Tobe Hooper e sceneggiato da Steven Spielberg.

Come nell’originale, c’è una famiglia, i Bowen, composta da genitori (Sam Rockwell e Rosemarie DeWitt) e tre figli, che si trasferisce nella villetta di una zona suburbana infestata da spiriti, che rapiscono la piccola Maddy (Kennedi Clements). A questo punto i Bowen chiedono l’intervento della dottoressa Powell (Jane Adams), capo di un fantomatico dipartimento di parapsicologia, a cui si aggiunge Carrigan Burke (Jared Harris), star del reality “House Cleaners”, che gli ha fornito la fama di vero e proprio ghostbuster.

Diretto da Gil Kenan e prodotto da Sam Raimi, regista di culto responsabile dell’immaginario horror degli anni Ottanta (La casa) e della trilogia che ha rilanciato Spider-Man nel nuovo millennio, il film tenta la via di un’attualizzazione del predecessore, adattando la storia alla contemporaneità. L’originale era incastonato nell’età dell’agiatezza, gli anni Ottanta della crescita del mercato finanziario, quando l’acquisto di una nuova residenza corrispondeva a un avanzamento sociale. Negli anni Duemila, invece, l’economia ha invertito il suo corso e i Bowen, vittime della crisi, cambiano casa in seguito al licenziamento del capofamiglia. E la villetta ha un che di sinistro dovuto, prima ancora che ai fenomeni paranormali, all’anonimità di sobborghi residenziali d’una disperante uniformità.

Aggiornato Poltergeist è anche tecnologicamente: per cui parte dall’inquadratura del figlio maschio (Kyle Catlett, lanciato da Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet) impegnato in un videogioco horror su iPad e continua con l’immancabile drone, capace addirittura di intrufolarsi nell’altra dimensione e mostrarci il mondo degli spiriti.

Il film mostra una spiccata dipendenza dalla pellicola del 1982, della quale ripete situazioni ormai decadute a cliché. E nonostante i tanti strumenti tecnologici a disposizione, i tradizionalisti poltergeist preferiscono manifestarsi e dialogare col mondo dei vivi attraverso la televisione, che continua a costituire il centro del focolare familiare e dell’immaginario collettivo (Carrigan è una celebrità televisiva, e l’assistente della dottoressa Powell invita subito i Bowen a sfruttare l’infausta vicenda per partecipare a un reality).

Detto ciò, sfugge il senso di un remake così timido, che non si pone su di un piano di rilettura o rivisitazione critica né, come il singolare Psycho di Gus van Sant, punta sull’esasperazione calligrafica, seguendo alla lettera l’originale (ottenendo per forza di cose, come insegnava il Borges del Pierre Menard, qualcosa di profondamente diverso). Poltergeist è un film senza una riconoscibile ragione espressiva e, probabilmente, anche senza un pubblico che desideri guardarlo.