Predestination: Ethan Hawke viaggia nel tempo a caccia di criminali

Il racconto di fantascienza dei fratelli Spierig gioca con gli intrecci temporali e l’identità dei personaggi. Sulla carta è un film alla “Memento”, che manipola il tempo per mettere in discussione le certezze dello spettatore. Ma le sue sono vertigini a buon mercato.

Predestination Ethan Hawke viaggia nel tempo

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Uno scrittore (Sarah Snook) di racconti al femminile che usa lo pseudonimo “Madre nubile”, decide di raccontare la bizzarra storia della sua vita a un barista (Ethan Hawke). Che però è un agente di un corpo di polizia speciale in grado di viaggiare nel tempo, a caccia di un terrorista sul punto di commettere una strage. E la Madre nubile è il tassello che può permettergli di risolvere il caso.

Non si può dire di più della trama di Predestination, firmato dai fratelli Peter e Michael Spierig, tutto basato sull’attenta orchestrazione dei colpi di scena. La storia è tratta da un racconto di fantascienza di Robert Heinlein, Tutti voi zombie, dal quale trae l’aggrovigliata struttura di salti e paradossi temporali.

Il film rientra in una tipologia narrativa tipica del nuovo millennio, incardinata sulla manipolazione del tempo. Storie trasformate in movimentati andirivieni tra passato e futuro, flashback e flashforward, nelle quali le sequenze, non disposte in ordine cronologico, diventano tessere di un enigma che disorienta volutamente lo spettatore, sollecitato a una ricezione più partecipata.

Pensiamo a un film come Memento, nel quale l’interferenza tra intrecci temporali survoltati e personaggi dalle facoltà intellettive disarmoniche crea un racconto all’insegna dell’ambiguità, in cui si smarriscono l’affidabilità degli avvenimenti e la capacità di comprenderli di protagonisti e spettatori, messi in crisi da percorsi labirintici pieni di tracce ingannevoli.

Predestination sulla carta rientra perfettamente nel genere, ma in realtà costituisce un’evoluzione, o meglio semplificazione, del modello. La struttura si muove tra presente, passato e futuro, però è piena di meccanismi che attenuano la vertigine del racconto. Come se si volesse offrire la sensazione di caos narrativo a uno spettatore al quale, però, non vengono sottratte le sue certezze. Il primo tempo del film, infatti, è occupato da un lunghissimo dialogo, nel quale ogni richiamo al passato è supportato da flashback illustrativi, ordinati in perfetta linea cronologica. Solo dopo aver fornito tutti i possibili appigli la storia comincia a mescolare sequenze e personaggi, ma a questo punto l’intelligibilità è assicurata, e infatti il colpo di scena finale non sorprende nessuno.

Dwight Macdonald definiva midcult quel genere ibrido che per darsi un tono utilizza gli stilemi della cultura alta, ma poi li piega a un uso annacquato e semplificato, che ne disattiva le implicazioni concettualmente problematiche. Uno stile rassicurante, che mantiene la forma della complessità, ma non la sostanza. Sta accadendo questo con film come Predestination, Cloud Atlas, Adaline: tutti incentrati su slittamenti temporali che però non mettono mai alla prova le capacità di comprensione dello spettatore. Al quale si offre un seducente viaggio sull’ottovolante del caos, tra ambiguità narrative e identità multiple; lasciandolo però comodamente seduto sulla poltrona, fornendogli gli schemi interpretativi necessari per non perdersi mai davvero tra le maglie del racconto. Una vertigine a buon mercato, confezionata in un prodotto d’impeccabile manierismo, che ha preso dei dispositivi nati per riflettere sulla natura della narrativa e la crisi della soggettività e li ha piegati alle necessità di un genere d’intrattenimento.