Essere John Malkovich: stasera su Iris il cinema “filosofico” di Charlie Kaufman

Appuntamento alle 21 in tv con il film che ha rivelato il talento dello sceneggiatore Kaufman. Le sue storie posseggono uno stile postmoderno e cerebrale, ma non sono mai fini a se stesse. Perché sotto il tono ironico si nascondono ansie e angosce che appartengono a tutti.

Essere John Malkovich su Iris Charlie Kaufman

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Un film alla Charlie Kaufman”: all’inizio del nuovo millennio, attraverso un pugno di film che si sono stagliati nell’immaginario, tra cui Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa, Se mi lasci ti cancello, lo sceneggiatore Kaufman ha imposto uno stile di narrazione talmente personale da essere riconosciuto come l’autore principale di quelle pellicole. Che pure sono firmate da registi quali Spike Jonze, George Clooney, Michel Gondry.

In effetti basta ripercorrere sommariamente la trama del suo primo exploit, Essere John Malkovich, in programmazione stasera alle 21 su Iris, per comprendere l’eccentricità delle sue macchine narrative, lontane dai plot hollywoodiani incardinati sui canonici tre atti, introduzione, crisi e risoluzione.

Craig (John Cusack) è un burattinaio insoddisfatto, sposato con Lotte (una imbruttita Cameron Diaz), ossessionata dagli animali. Trova un lavoro da archivista in un assurdo ufficio posto al settimo piano e mezzo di un edificio, con soffitti bassissimi che costringono a camminare curvi. S’innamora della collega Maxine (Catherine Keeler) e scopre nell’ufficio un passaggio segreto che conduce dentro la mente del famoso attore John Malkovich (se stesso), nella quale però si può restare solo un quarto d’ora (forse per rispettare la profezia di Warhol secondo cui «in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti»).

Craig e Maxine iniziano un business, facendo pagare 200 dollari l’esperienza di “essere John Malkovich”, che attrae persone frustrate dalla propria esistenza. Tra queste c’è anche Lotte, che una volta dentro Malkovich va a letto con Maxine e scopre di esserne innamorata; a sua volta Maxine capisce di non desiderare Malkovich, ma la Lotte che lo guarda attraverso gli occhi dell’attore; intanto Craig trova il modo di gestire la mente di Malkovich, riuscendo così a conquistare Maxine, disinteressata a lui come uomo ma sinistramente attratta dal suo talento di burattinaio manipolatore.

Non c’è bisogno di ulteriori dettagli per cogliere la natura fuori dagli schemi di questa sceneggiatura stratificata, apparentemente capricciosa ma invece capace di mantenere costante tensione e coerenza, sino a un finale che non delude le aspettative. La qualità della scrittura di Kaufman (soprattutto qui e in Se mi lasci ti cancello), sta nel riuscire ad architettare delle scatole cinesi sì laboriose ai limiti del cervellotico, ma cariche di un’inquietudine autentica, mascherata dietro un tono paradossale e sapientemente ironico.

Il labirinto di Essere John Malkovich cioè, sollecita evidenti questioni filosofiche relative a identità, immortalità, inconscio (“capisci che razza di pasticcio metafisico c’è in quel passaggio?”, commenta Craig dopo la scoperta), ma non si riduce a uno sterile esercizio intellettualistico. Questo perché da un lato Kaufman non dimentica le esigenze spettacolari della narrazione (“l’obiettivo è essere interessanti”, ha detto una volta del mestiere di sceneggiatore); dall’altro è capace di far risuonare nel racconto esperienze e smarrimenti brucianti.

Il film s’immerge nella mente pericolosa di Malkovich per mostrare attraverso di lui le insicurezze e i desideri di tutti i personaggi. L’identità del singolo diventa collettiva perché è abitata da tanti soggetti diversi, trasformandosi in una sintesi di ansie e aspirazioni non strettamente personali ma condivise.

Pensiamo alla sequenza in cui Lotte e Maxine attraversano il subconscio di Malkovich: una serie di stanze comunicanti che rappresentano una “antologia dell’angoscia”, dalla scena primaria del bambino che vede i propri genitori far l’amore alle diverse forme di vessazione cui i compagni di scuola sottopongono il piccolo Malkovich. Una scena così esemplare da sembrare tratta da una manuale di psicoanalisi: e per questo può essere intesa come una presa in giro o, a scelta, una disturbante collezione di timori e paure socialmente condivise.

Il film è tutto così, sostenuto su un tono brillante sotto il quale, al fondo, si agita un pessimismo esistenziale reso palese dal fallimento di Craig, il burattinaio che s’illude di controllare i fili d’una realtà cui finisce per essere completamente sottomesso. E se una via esiste per sottrarsi a questo malinconico destino, sta tutta nel sapersi mettere in gioco, guardando in faccia senza infingimenti la propria indaguatezza. Cioè esattamente quello che fa l’attore John Malkovich, impegnato in uno straordinario tour de force nel quale è impossibile distinguere la finzione del personaggio recitato dalla verità dell’uomo che lo interpreta, perché le identità si sommano e si moltiplicano vertiginosamente (come nella sequenza più celebre del film). E l’unica strategia per governare tutto ciò sembra essere la disponibilità a prendersi ed essere preso in giro, che Malkovich esibisce con sorniona ironia lungo l’intero film.