Il racconto dei racconti: con Garrone il fantasy parla italiano

Partendo dal capolavoro barocco di Basile, il regista di Gomorra ha firmato un’opera ambiziosa: una grande produzione con cast internazionale che è anche un film d’autore. Un’opera squilibrata e coraggiosa. Che segna una tappa importante nel cinema italiano contemporaneo.

Il racconto dei racconti Matteo Garrone incontra Basile

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Il racconto dei racconti di Matteo Garrone è una produzione di dimensioni ragguardevoli per il cinema italiano: 12 milioni di euro, capitali soprattutto francesi e cast di lingua inglese per un film che sceglie un genere poco nostrano, il fantasy.

Italianissimo, napoletano anzi, è il materiale di partenza, il seicentesco capolavoro barocco del Cunto de li cunti di Giambattista Basile, catalogo fiabesco dai molteplici registri, che mescola cultura alta e bassa, dialetto ed elaborazione stilistica colta, gusto teatrale dell’oralità popolare e compostezza formale d’una calibratissima scrittura.

Garrone ha scelto tre fiabe dal corpus basiliano, rimaneggiandole e legandole attraverso un finale congiunto: La cerva fatata, Lo polece e La vecchia scortecata (qui in originale). Nel primo la regina di Selvascura (Salma Hayek), tormentata dal desiderio d’un figlio, esce incinta cibandosi d’un cuore di drago marino cucinato da una vergine che, inalandone i fumi, ha anche lei un bambino. I ragazzi, Elias e Jonah, gemelli albini, sono legatissimi, con gran dispetto della regina.

Nella seconda vicenda il re d’Altomonte (Toby Jones) addomestica una pulce, che cresce a dismisura. Quando muore la fa scuoiare e decide di dare in sposa la figlia Viola (Bebe Cave) a chi saprà riconoscere a quale animale appartiene la pelle: il torneo sarà vinto da un terribile orco. Nell’ultimo episodio il re di Roccaforte (Vincent Cassel) è sedotto da una melodiosa voce di donna, che però appartiene alla vecchia Dora (Hayley Carmichael). Un incantesimo la rende giovane e bella: il re la sposa, mentre la sorella Imma (Shirley Anderson), invidiosa, fa di tutto per diventare come lei.

Il film ha una suggestiva bellezza figurativa e scenografica, grazie a location che sottolineano fantastico e gotico delle vicende – Castel del Monte, i manieri di Roccascalegna e Donnafugata – ed effetti speciali artigianali con minimi apporti digitali. E anche per questo si distingue – nel ritmo lento e meditativo, nel tono adulto della fiaba, nella messa in scena carnale, materiale – dal fantasy hollywoodiano.

Non c’è nulla di edulcorato nel Racconto dei racconti, che ha la concretezza terragna della fiaba e narra crudamente di violenza e ossessioni: la voglia insopprimibile di maternità della regina di Selvascura, l’oscura pulsione che spinge il re d’Altomonte ad allevare un mostro, il percorso di maturazione della figlia Viola costretta a una prova estrema per emanciparsi dall’orco (qui Garrone si prende una significativa libertà rispetto al racconto originale), la vecchia Imma accecata sino all’autolesionismo dal suo sogno di giovinezza.

Il film mantiene le suggestioni e i rimandi simbolici propri delle favole, accentuandoli grazie al testo di partenza, che è saporoso, nutrito di carnalità e cultura popolaresca. Il racconto dei racconti parla attraverso metafore lampanti – il labirinto, il doppio, il funambolo – di temi universali: passione, potere, identità (soprattutto in chiave femminile), mantenendo un tono lucidamente pessimista, manifesto nell’assenza del lieto fine fiabesco.

Immergendosi in questa materia Garrone alla fine ritrova pure alcune costanti del suo cinema, dalla commistione tra realtà e fantastico (pensiamo all’incipit del matrimonio in Reality) alla carnalità come assillo (L’imbalsamatore, lo psicopatologico Primo amore).

Il racconto dei racconti è un fantasy d’autore, in parte squilibrato dall’ambizione di innestare un discorso personale sul filtro un po’ insapore della produzione internazionale, che apre a mercati più ampi ma in parte ingabbia la poetica e lo stile di lavoro di Garrone in tempi e modalità che non gli sono propri.

Ma questo è anche il fascino di un’opera rischiosa, imperfetta e impura. Un film da meditazione, a cui gioverà la lenta sedimentazione nella memoria: Il racconto dei racconti andrà rivisto alla luce dei futuri film di Garrone, che aiuteranno a capire con maggiore chiarezza la piega che sta prendendo il suo cinema talvolta spiazzante. E allora credo che ne riparleremo con ammirazione.