Studente morto in gita, abolire i viaggi d’istruzione?

Ne parliamo con Federica Campilongo, studentessa Optima Erasmus a Valencia.


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“Ho affidato il mio unico figlio, sano ed in buona salute, all’Istituzione Scolastica, per un’uscita con pernottamento. Mi verrà riconsegnato cadavere.” Questa la dichiarazione, affidata a Facebook, di Antonia Comin, madre di Domenico Maurantonio, lo studente di 19 anni di Padova morto per una caduta dalle dinamiche ancora da chiarire, mentre era in gita scolastica a Milano. L’autopsia non è stata in grado di chiarire le circostanze della morte, e tra gli inquirenti si fa strada il sospetto che Domenico sia caduto dal davanzale in seguito a una goliardata finita nel peggiore dei modi. “Chi sa parli”, chiedono i genitori, ma per ora i compagni di scuola si trincerano dietro un silenzio complice.
Intanto sul web impazzano le polemiche. Annullare le gite scolastiche? Costringere gli insegnanti a una maggiore sorveglianza? Ne parliamo con Federica Campilongo, studentessa Optima Erasmus a Valencia.

Si parla  di limitare il più possibile i viaggi d’istruzione scolastica, che secondo molti sono solo un’occasione per fare baldoria. Sei d’accordo?

Senza i miei viaggi di istruzione non sarei quel che sono. Ho frequentato un Liceo Linguistico e fin dal primo anno mi hanno insegnato ad essere una cittadina europea, oltre che italiana, grazie a diversi viaggi di istruzione e scambi culturali. Ricordo ancora l’ansia con cui aspettavo ogni viaggio, la felicità con cui andavo a scoprire un posto nuovo con i miei amici. I viaggi di istruzione sono senza dubbio un’occasione per fare baldoria. Quale adolescente in viaggio non si sente “libero” di poter fare ciò che vuole? Ed è proprio questa “libertà” che fa crescere: ti fa capire cosa è giusto fare e cosa no. Dopo un viaggio di istruzione non puoi che tornare a casa cambiato, cresciuto. Quindi io no, non abolirei i viaggi di istruzione ma li incentiverei un po’ di più.
Gli incidenti, purtroppo, possono capitare sempre, in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza. Ma non è per questo che si deve proibire a milioni di studenti di crescere sia culturalmente che personalmente.

La madre accusa la scuola di aver lasciato morire suo figlio, mentre altri dicono che un ragazzo di 19 anni è perfettamente responsabile delle sue azioni e non può essere sorvegliato dagli insegnanti. Qual è il tuo punto di vista?

Il punto è che di norma si pensa che a 19 anni un ragazzo è già abbastanza grande per poter fare tutto da solo. A 19 anni sei maturo, hai raggiunto da un anno la maggiore età e non devi dare conto a nessuno. Quando succedono le tragedie, però, gli stessi ragazzi di 19 anni diventano dei cuccioli indifesi che devono essere sorvegliati dagli insegnanti. È la coerenza quella che manca.
Con questo non voglio dire che gli insegnanti non debbano sorvegliare gli alunni solo perché questi ultimi sono già maggiorenni. Vengono pagati per sorvegliare, non per fare una vacanza.
Non si conosce ancora la dinamica dell’incidente, quindi non si sa ancora di chi sia la “colpa”. Quel che c’è di sicuro, però, è che se a 19 anni ti senti grande, maturo e senza alcun bisogno di essere supervisionato, allora devi esserlo per davvero e non solo a parole.

Genitori italiani troppo apprensivi e iperprotettivi, figli troppo viziati e mammoni. Quanto c’è di vero secondo te?

Sicuramente ognuno si forma personalmente e caratterialmente a seconda del contesto familiare in cui vive. Come ci ricorda Aristotele, infatti, la famiglia è il primo stadio della società. Prima di essere cittadini, dobbiamo imparare ad essere madri, padri, fratelli o sorelle. Il problema è che in Italia ce lo siamo un po’ dimenticato. Ora i genitori non fungono più da educatori ma da assistenti con una paura esagerata che ai propri figli possa accadere qualcosa di brutto. È proprio qui, quindi, che nasce il problema. Io sono cresciuta in una famiglia in cui il Rispetto è la prima parola d’ordine. Ricordo ancora tutte le volte che mio padre mi metteva in punizione perché rispondevo male o mi comportavo in un modo non consono. E ricordo anche la delusione quando arrivavo a casa con degli ottimi risultati e lui mi rispondeva che potevo fare di più, che non era abbastanza. Certo, in quel momento lo odiavo tantissimo. Ma crescendo e iniziando a confrontarmi da sola con la realtà, non posso che ringraziare lui e i suoi insegnamenti. Bisognerebbe fare un passo indietro: i genitori italiani di oggi dovrebbero capire che se, quando ce n’è bisogno, fanno piangere i propri figli, se gli dicono che la colpa è la loro, se non li accontentano su tutto, non sono dei mostri ma, semplicemente, stanno insegnando loro ad essere dei futuri cittadini del mondo.