Se Dio vuole: Gassmann e Giallini in una divertente commedia sulla religione

Giallini è un cardiochirurgo con un figlio che vuole farsi prete. Gassmann è il sacerdote che l’ha ispirato nella scelta. Due nemici che imparano a conoscersi. La prima regia di Edoardo Falcone si regge sull’affiatata coppia di protagonisti. Che non bastano a evitare i cliché delle commedie italiane di oggi.

Se Dio Vuole Giallini Gassmann commedia sulla religione

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Edoardo Falcone, curriculum da sceneggiatore per i film diretti da Massimiliano Bruno, come l’ambizioso affresco dei vizi nazionali Viva l’Italia (2012) e il più ridanciano Confusi e felici (2014), passa alla regia con Se Dio vuole. Un film coprodotto da Wildside e Rai Cinema che, a giudicare dal numero di copie distribuite, quasi quattrocento, potrebbe essere una delle sorprese italiane al botteghino.

Nel film ci sono gli elementi di fondo della sua scrittura: un tema importante e abbastanza inedito per il cinema italiano, la religione, filtrato nei toni di una commedia leggera, un cast corale che ruota intorno a Marco Giallini e Alessandro Gassman, un’ambientazione decisamente romanocentrica, così totalizzante da far pensare che oltre il raccordo anulare non esista nient’altro.

Giallini è Tommaso, affermato primario di cardiochirurgia avaro di emozioni e sentimenti: il mondo gli crolla addosso quando il figlio annuncia alla famiglia di voler entrare in seminario. Tommaso, da bravo scienziato ateo, non può tollerare l’idea e cerca di capire chi possa aver influenzato il ragazzo: il responsabile è Don Pietro (Gassmann), prete sui generis, ex galeotto illuminato sulla via di Damasco, che racconta ai fedeli le parabole della vita di Gesù con uno stile pop e colorato, stando al centro di un teatrino circolare con piglio da attore navigato e piacione.

Tommaso all’inizio cerca di scoprirne i possibili scheletri nell’armadio: a poco a poco il rapporto muta e, pur nella distanza tra uno scettico razionalista e un uomo di spiritualità semplice ma sincera, evolve in un’amicizia autentica. Tommaso cambierà il proprio atteggiamento: verso i collaboratori sul lavoro e soprattutto rispetto alla famiglia, dalla moglie (Laura Morante), mortificata dal distacco emotivo del marito, alla figlia, certo inconcludente e nullafacente, ma ferita dall’atteggiamento del padre, formalmente rispettoso, ma al fondo sprezzante e giudicante.

Il meglio del film è nei duetti tra Giallini e Gassmann, decisamente una spanna sopra il resto del cast, Morante compresa, sacrificata nell’eterno ruolo della nevrotica benestante e insoddisfatta. E monodimensionali sono tutti i ruoli secondari, anche quello del figlio, la cui vocazione resta un motivo embrionale, funzionale unicamente allo sviluppo narrativo della vicenda principale.

C’è qualche scelta non banale. Per ingraziarsi Don Pietro, Tommaso finge di essere un poveraccio con famiglia disfunzionale a carico, moglie manesca e fratello ritardato compresi: ma una volta smascherato, lo stimato professionista comincia ad aprire gli occhi sulla sua vita ed è costretto ad ammettere che la famiglia davvero disfunzionale è quella reale, anche se vive in un’esclusiva dimora con vista su Castel Sant’Angelo. Ed è inusuale e apprezzabile il finale, con un brusco cambio di tono che non ci si aspetterebbe da un’opera di questo tipo.

Sono gli spunti migliori di un film che, in generale, riproduce i difetti di scrittura di tante commedie italiane recenti, le quali lambiscono temi importanti, politica, precarietà economica, qui la religione, su cui però gettano uno sguardo di superficie, trattandoli come spunti per gag anche divertenti ma poco incisive, non riuscendo a sollevarsi al livello di una consapevole satira di costume.