Inside Man: stasera su Rete 4 Spike Lee racconta l’America del nuovo millennio

Alle 21.15 il thriller su una rapina in banca in cui il vero obiettivo non sono i soldi. Un cast di grandi attori, Denzel Washington, Clive Owen, Jodie Foster, al servizio di un film che descrive una società impaurita, tra conflitti razziali e paranoia post 11 settembre. Un capolavoro degli anni Duemila.

Inside Man Spike Lee racconta le paure americane

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Con la maschera sono tutti uguali”, dichiara ai poliziotti l’unico bambino preso in ostaggio durante una rapina in banca. Eccolo il “rub” shakespeariano, l’“intoppo” confezionato dalla mente del colpo alla Manhattan Bank, Dalton Russell (Clive Owen), che si presenta agli spettatori all’inizio di Inside Man (2006) di Spike Lee. I rapinatori costringono gli ostaggi a indossare i loro stessi indumenti, a volto coperto: così sfumano caratteristiche identitarie ed etniche e diventa impossibile separare i buoni dai cattivi.

La distinzione del bene dal male però, chiarisce Lee, è velleitaria in ogni caso. Perché esistono maschere di ogni tipo, soprattutto sociali: ne indossa una il filantropo Arthur Case (Christopher Plummer), fondatore della banca, la cui ricchezza è legata a un grave peccato originale custodito in una cassetta di sicurezza che teme venga manomessa dai rapinatori. Perciò chiama la faccendiera Madeline White (Jodie Foster) chiedendole di tutelare la sua onorabilità. Per entrare nella banca Madeline tratta con il negoziatore Keith Frazer (Denzel Washington, magnifico), poliziotto su cui pende il sospetto di aver sottratto soldi a un criminale.

La grandezza di Inside Man sta nel saper incastonare notazioni acutissime sulla realtà americana dentro una struttura narrativa che non travalica mai il genere prescelto. Il regista dipinge una società globalizzata e incattivita, segnata dai conflitti razziali, da sempre cuore del suo cinema. Quando si tolgono le maschere, infatti, gli ostaggi riacquistano i propri connotati: come il sikh rilasciato dai malfattori, trattato con brutalità dalla polizia, che lo scambia per arabo e quindi pensa possa essere un terrorista.

La paranoia post 11 settembre è dietro l’angolo, esplicitamente richiamata nella scena in cui Madeline e Frazier dialogano davanti a un manifesto su cui è scritto, nei colori della bandiera americana, “We will never forget”. Il trauma dell’attentato ha condotto il già complesso melting pot statunitense a un livello di tensione estrema. Ne risentono i rapporti umani, all’insegna di un malcelato cinismo utilitaristico: come la ragazza albanese che aiuta la polizia e pretende immediatamente un tornaconto, l’annullamento delle multe.

Il senso di minaccia è dilagante e proviene anche da chi dovrebbe difendere la comunità: quando gli ostaggi vengono rilasciati mascherati, la polizia spara indiscriminatamente – con proiettili di gomma – contro bianchi, neri, cinesi, ebrei, temendo che tra loro possano mimetizzarsi i criminali.

Il pessimismo di Inside Man si rivolge anche contro il mondo finanziario. Madeline cita il detto del barone Rothschild: “Quando scorre il sangue per le strade è il momento per comprare”. Precisamente la morale di Arthur Case. Ma Dalton conosce la storia: quindi siede disinvoltamente sui pacchi di banconote, perché sa quanto vale realmente il denaro.

In questo scoraggiante scenario l’unica risorsa è costituita dalle qualità individuali: quelle di Dalton e Frazier, che si affrontano in un manipolatorio scontro tra intelligenze degno dei classici hollywoodiani di Wilder o Mankiewicz. Alla fine rimane proprio la fiducia nel cinema, in un immaginario adulto capace di ritrarre la realtà e offrire strumenti per comprenderla. Il resto del quadro è sconfortante, segnato da paura, ostilità e diffidenza reciproca.
https://youtu.be/epaVp1btE8o