Ha fatto molto discutere sui social network la presenza di Daniel Petrarulo a The Voice of Italy 3: il giovane pugliese, all’anagrafe Daniela, ha raccontato la sua storia di transgender innamorato della musica di fronte ai cinque coach e al pubblico del talent show. Sui social in tanti hanno gridato al caso mediatico di quest’edizione, sulla scia del fenomeno suor Cristina che un anno fa ha condizionato l’intera stagione di The Voice.
Entrato a far parte del team di Noemi, il cantante ha raccontato la sua esperienza di vita a VanityFair.it: all’indomani del suo ingresso a The Voice of Italy 3, Daniel Petrarulo ha rivendicato il fatto di essere stato premiato per la sua voce e non per la sua storia, che ha raccontato successivamente alla scelta dei coach in giuria nella seconda puntata del talent show.
Originario di Grottaglie, in provincia di Taranto, Daniel Petrarulo ha spiegato di aver completamente superato la fase di transizione da donna a uomo e per questo non voler essere etichettato come transessuale, ma come uomo a tutti gli effetti.
Io non sono in attesa di cambiare qualcosa, sono completo adesso, e sono soddisfatto del risultato. Questo aspetto non è passato bene in puntata. La storia spettava raccontarla a me come si deve (…) in modo da definire bene le cose come stanno. (…) A Grottaglie, il mio paese, mi hanno visto crescere sempre così, come un ragazzino che adesso è diventato uomo 100%. Il palco di The Voice è stato un sigillare questa cosa: intraprendo questa nuova avventura da ragazzo “nuovo” che realizza, a 29 anni, il suo disegno di vita.
Consapevole dell’eco mediatica suscitata dalla sua storia, Daniel Petrarulo ha sottolineato che il successo della Blind Audition sulle note di Always di Bon Jovi è dovuto unicamente alla sua voce.
Io so che chi mi ha scelto lo ha fatto perché hanno sentito la mia voce, e soltanto quella. Soprattutto Noemi, che mi ha corteggiato a livello musicale.
All’indomani della sua partecipazione a The Voice of Italy 3 qualcuno lo ha già definito la Conchita Wurst italiana, altra etichetta che preferisce scrollarsi di dosso nonostante la stima per l’artista austriaca.
Io la trovo di una bellezza incantevole e ha una bellissima voce, ma sicuramente è diversa da me, è un’altra cosa. Nonostante questo, il messaggio che a livello artistico credo si possa lanciare è analogo: essere se stessi è la cosa più importante, perché quando si è se stessi si ha già vinto.
Valerio (3^ audition ) e’ mio cugino.
Ha impressionato Piero Pelu’ , che se l’e’ scelto…Grazie a tutti degli auguri.
E non vedeteci il fratello di Mietta in lui.
E’ solo un rocker e basta.
E’ luiiiiiiiiiiii grazieeeeeee
Canta per conto tuo e lascia stare conchita wurst. Ormai è in fase già discendente, sul patetico andante. Avrebbe una bella voce, ma di artistico purtroppo non ha più nulla. Punta ormai solo a far parlare di se a sproposito. E’ poi Conchita Wurst è simbolo della non accettazione di se stessi. E’ un uomo che si esibisce in abiti femminili, creando un personaggio di marketing e costume dopo aver fallito inizialmente come giovane cantante nelle vesti autentiche di Tom. Quindi vai per la tua strada e non lasciarti tentare da facili scorciatoie. Chi presto arriva, presto se ne va. “Bisogna accettarsi ed amarsi per quello che si è senza maschere e scuse”. Così in questi giorni Conchita Wurst si esprimeva davanti ai giornalisti. Peccato che in realtà Conchita Wurst sia la rappresentazione vivente di chi non si è mai accettato e continua a non accettarsi. Vive di maschera, banalità e pretesti, polemiche, nonostante abbia persino delle qualità. E chi gli sta intorno usa questa debolezza per fare soldi facili, correndo dietro a sciocchezze e cretinate, perchè è più facile fare di un personaggio un simbolo che di una persona dotata un’artista o affrontare seriamente delle cose. E’ il simbolo della non accettazione di se stessi, dell’ipocrisia. Se hai bisogno di un’etichetta per sentirti riconosciuto ed accettato, la colpa non è degli altri, ma sei tu a non essere all’altezza di te stesso. E’ una tua fragilità, non una colpa altrui. Freddie Mercury, Lucio Dalla, Elton John o un Renato Zero, David Bowie erano dei grandissimi artisti. Non dei gay che cantavano. Nessuno li ricorda perché erano dei finti simboli di accettazione, ma dei veri artisti. Questa è la vera libertà di essere se stessi, ossia esprimere le proprie qualità e doti senza bisogno di caricarle di orpelli ridicoli, senza costruirsi delle gabbie mentali. Altri personaggi, invece, preferiscono vivere di accattonaggio mediatico. Ciò è di una tristezza infinita, perché magari una Conchita Wurst saprebbe pure cantare, però dovrebbe liberarsi della sua infantile tendenza a ripetere gli stessi errori di gioventù e della stupidità di chi gli sta attorno. La vita è altro e con essa anche essere artisti è altro. Artisti non vuol dire ridursi ad essere uno zimbello mediatico che fa figure patetiche quando ci si presenta in dei contesti magari anche importanti, finendo con il recitare quattro cretinate in un video filmato. Se c’è gente che ha bisogno di questo per sentirsi meglio, lo faccia. Ma non è un problema della società, è un loro problema. La società lo amplifica dandogli spazio in maniera ridicola e sciocca, non facendoli crescere e omettendo di porre in evidenza i loro errori.